IL CONSUMATORE STRANIERO CAMBIERÀ IL VINO ITALIANO?

Gli italiani consumano sempre meno vino. È questo il dato più significativo che è venuto fuori da alcuni incontri al Vinitaly. Le percentuali di consumo di vino in Italia sono crollate ai livelli del 1861, circa 22,6 milioni di ettolitri di vino. Ci posizioniamo, quindi, molto al di sotto degli Stati Uniti (29 milioni), che comunque conta una popolazione infinitamente più numerosa del nostro paese, e della Francia, che detiene il primato mondiale con 30,3 milioni di ettolitri l’anno.

Il calo è significativo, basti pensare che nel 2003 il consumo pro capite in Italia era poco sopra 50 litri e nel 2012 si è stabilizzato sotto i 40 litri. I motivi di questo crollo dei consumi sono svariati, ma è innegabile che la crisi economica abbia non poche responsabilità.

Il calo del consumo di vino, però, trova origine molto prima del nuovo secolo. Esso è legato ai nuovi costumi che hanno modificato la percezione dell’oggetto vino. Il vino in passato era parte dell’alimentazione quotidiana. Esso era come il pane, sempre presente a pranzo e a cena. Con l’avvento dei nuovi costumi, il vino viene percepito sempre più, ma ovviamente non ancora del tutto, come un oggetto a sé stante. Uscendo dal pasto quotidiano, esso perde in presenza, ma guadagna in valore. Sempre di più l’apertura di una bottiglia in casa è un evento, che vede il vino come protagonista principale e sempre di meno come accompagnatore del cibo. L’abbinamento cibo-vino è sempre più relegato  alla ristorazione o a rari eventi culinari.

Il vino è percepito oggi in maniera totalmente diversa dal passato. Oggi è un oggetto ricercato, mentre in passato era una parte fondamentale dell’alimentazione. Allo stesso tempo, però, anche il vino di per sé è cambiato notevolmente. Qualitativamente parlando, oggi il vino italiano è anni luce avanti rispetto a quarant’anni fa. Nonostante le operazioni di marketing, che indubbiamente gonfiano il valore di molti vini, non solo a livello di costi, ma anche di obbiettiva qualità, il vino oggi è mediamente di gran lunga superiore a quello del passato.

Questa maggiore qualità ha comportato maggiori spese e di conseguenza un aumento dei prezzi del vino.

Ora se questi fattori spiegano la flessione del consumo di vino rispetto agli anni passati, c’è da dire anche che la crisi economica ha drasticamente abbassato il consumo di vino. I dati mostrano che dal 2002 al 2007 il consumo pro capite in Italia è oscillato tra i 45 e i 50 litri annui. Mentre negli anni della crisi, tra il 2008 e il 2009, il consumo è sceso a 37 litri pro capite. Insomma nel giro di un anno si è verificato un calo superiore a quello verificatosi nel giro di sei anni. Lo stesso fenomeno, leggermente meno drastico, ha coinvolto anche la Francia, che però lo ha  tra il 2009 e il 2010.

Il calo del consumo di vino è quindi determinato, oltre che da una diversa percezione del vino e da questioni legate alla salute, anche dalla crisi economica. La sorpresa, però, è che nonostante il calo dei consumi in Italia, gran parte delle aziende italiane di vino continuano a fatturare in positivo e questo grazie alle esportazioni. Queste, nonostante la crisi globale, sono aumentate del 5%, soprattutto perché vi sono nuovi paesi, dove sta nascendo un interesse sempre maggiore  per il vino. Basti pensare all’enorme potenziale di consumatori che possiede e possiederà la Cina.

Questo fenomeno influenza e influenzerà sempre di più il vino italiano. E’ ovvio che quando si  dipende così tanto dalle vendite, ci si deve anche adeguare ai gusti della maggioranza dei consumatori. Nonostante discorsi altisonanti sul rapporto tra il vino e il terroir, è indubbio che chi si trova a vendere per un determinato paese, dovrà comunque offrire un prodotto confacente al gusto di quel determinato paese. È un po’ la frode che si è verificata a Montalcino qualche anno fa, quando si è scoperto che alcune bottiglie di Brunello di Montalcino non erano prodotte esclusivamente da uve sangiovese, ma  erano state trattate con variabili percentuali di merlot. Questa truffa venne fatta proprio per soddisfare il gusto di una certa clientela, che trovava e trova ancora oggi il Brunello di Montalcino un vino eccessivamente duro. L’aggiunta di merlot ammorbidiva e smussava il carattere particolare del sangiovese, rendendolo così di più facile approccio.

Ora discorsi su quanto sia bello il rapporto tra il vino e il territorio li fanno tutti. Il problema, però, è se è vero o meno che ci sia questo rapporto. Nel momento in cui si addomestica con del merlot il sangiovese di Montalcino, che dà risultati molto diversi da quello prodotto in altre parti della Toscana, hai privato il vino della particolarità territoriale. Infatti un Brunello di Montalcino, addomesticato con del merlot, si discosta poco da altri vini toscani prodotti da sangiovese e merlot, i quali inoltre costano in genere meno. Un sangiovese in purezza, prodotto a Montalcino, può anche non piacere, ma sicuramente è unico rispetto ai vari sangiovese prodotti nel resto della Toscana. Il problema è che nel momento in cui si possiede un prodotto eccezionale, ma sono in pochi i consumatori che recepiscono questa eccezionalità, il produttore si vede costretto o a puntare su quella piccola parte di consumatori, che apprezzano quel determinato prodotto, oppure si deve adeguare alle richieste del mercato.