“Più mercato e meno Stato” o “Più Stato e meno mercato”, quale delle due? I lupi in mezzo ai polli sono per la prima: nel libero mercato loro vincono. I polli dovrebbero essere per la seconda. Ma questi hanno le idee alquanto confuse: ammirano e invidiano i lupi; rivendicano diritti alquanto astratti e imprecisati; principalmente si lamentano, raramente si indignano, talvolta si rivoltano scrivendo pagine di sangue sgrammaticate. [Vedi l’articolo Libertà]
Chi è per la seconda vede lo Stato come un padre tutore capace di “fare giustizia” e di fare avere ai polli ciò che essi non sono capaci di avere sul libero mercato. Pia illusione! I lupi se prima si sono opposti alla nascita degli Stati democratici poi hanno imparato a usarli a loro pro. Qualche citazione. «L´arte di schivare le tasse comporta infine di avere la capacità politica, ideologica e mediatica sufficiente per convincere i governi a emanare norme fiscali adatte a ridurre drasticamente l´imponibile, in modo da fare in pratica evaporare le aliquote sul reddito delle società – tipo, nel suo piccolo, la Pex italiana» Luciano Gallino in la Repubblica del 23 agosto 2005. Né conta il ricorso alla ragione ché, come sapevano bene gli antichi, “quannu a forza la ragghiuni contrasta, a forza vinci e la ragghiuni nun basta” [quando la ragione contrasta con la forza, la forza vince e la ragione non basta]. Storie vecchie e nuove come la favola del lupo e dell’agnello!
Cos’è il mercato se non il teatro in cui si srotola la rappresentazione della battaglia continua che è la vita?! Il mercato è il posto del confronto, dello scontro e del compromesso dove c’è chi, presumendo di soddisfare un bisogno, espone una proposta – sia essa un manufatto, un servizio, un’idea politica, un evento culturale – e c’è chi l’accetta oppure la rifiuta decretandone il successo o l’insuccesso e dove l’accordo tra le parti si chiude solo se la soddisfazione è reciproca tant’è che offerente e acquirente, pur di addivenire alla transazione, sono disposti a pagare, a metterci del proprio. Ed è il mercato a indurre l’offerente, in caso d’insuccesso, a fare autocritica, a rivedere il suo prodotto e il modo di proporlo.
Nel mercato, come nella società, contano i rapporti di forza e ognuno può confidare solo sulla propria sia essa quella delle armi o del danaro o della conoscenza o del consenso. Così è e a ben poco servono i ricorsi a scorciatoie o gli appelli ai diritti fondamentali dell’uomo. O mircatu vacci e stacci ca i mingiuni vanu e vienunu, al mercato vacci e stacci che i minchioni vanno e vengono! Non è il proverbio della disonestà ma di quella situazione in cui l’offerente sa di avere un prodotto di scarsa qualità e non ha fretta e bisogno di vendere e perciò lo pone a un prezzo più alto di quello circolante, la maggior parte delle persone glielo rifiutano ma lui persiste e qualche minchione abboccherà e magari andrà a casa convinto di aver fatto un buon affare e di aver gabbato il venditore. Chi è causa dei suoi guai, se li pianga!
Il compito dei dirigenti politici di sinistra è quello di mettere sul mercato il prodotto del soddisfacimento degli interessi dei polli, chiaro preciso puntuale e convincente al punto da essere valutato più appetibile di ogni altra proposta politica ed essere abbracciato dalla stragrande maggioranza di questi. Ciò è possibile solo a condizione che i polli e i loro dirigenti prendano coscienza della loro debolezza, cessino di scimmiottare i lupi e di comportarsi come un liquido che si adatta alle mode proposte e imposte dai lupi e si convincano, invece, di avere diritto a mettere sul mercato un loro modo di vivere da affermare con la forza del consenso.
In fondo sono di più dei lupi e, se uniti nella stessa direzione, costituiscono una forza. Lo slogan potrebbe essere: la forza del consenso per bilanciare quella del danaro e per bandire quella delle armi! Ma fondamentali sono il coraggio della propria debolezza e la chiara concretezza del proprio modo di vivere. Oltre poi alla capacità di dotarsi di una organizzazione – partito, sindacato, corporazione, confraternita. . . la si chiami come si vuole – capace di contrattare, nel mercato, con i lupi. Quando ciò manca a nulla serve il ricorso allo Stato. Quando, nella vita individuale come in quella collettiva, manca la chiara concretezza dell’oggetto del proprio desiderio si è destinati a restare gabbati e scontenti. Si è rivendicato, attraverso lo Stato, il diritto alla salute e i lupi – vedi case farmaceutiche e compagnia bella – l’hanno trasformato in aumento vertiginoso del consumo di farmaci che è cosa opposta alla salute. Si è rivendicato il diritto allo studio per i figli dei polli e i lupi – vedi capitalisti e compagnia bella – ne hanno approfittato per scrollarsi la responsabilità della riduzione dell’occupazione parcheggiando, nelle aule scolastiche, i giovani con loro grave nocumento.
I lupi hanno spostato enormi capitali dalla produzione alla speculazione finanziaria determinando l’attuale crisi mondiale. Non c’è paragone tra la responsabilità dei manager che hanno determinato il fallimento delle banche più potenti del mondo e di industrie quali la General Motors e quella dei polli che non hanno neanche la più pallida idea di cosa vuol dire gestire capitali, tuttavia è anche vero che questi se la sono goduta a razzolare le briciole di un consumismo sfrenato. Perciò, è forse giusto, che il presidente USA, Barack Obama, tenti di salvare quelle aziende con i soldi dello Stato ovvero dei contribuenti ovvero dei polli. Perché una cosa è certa: alla fine sono sempre i polli a rimetterci le penne! Vi ricordate lo slogan: “come mai, come mai sempre in culo agli operai!” Ma in questi anni i dirigenti politici di sinistra dove hanno avuto gli occhi, le menti e le pance?! (°)
C’è chi grida: “l’acqua è un diritto fondamentale e la gestione non deve essere affidata ai privati e al mercato ma allo Stato”. E il pane non è un diritto fondamentale anch’esso eppure è gestito dai privati?! L’acqua come il pane come le automobili sono beni pubblici in quanto i pubblici (o privati?!) cittadini li pagano col guadagno del loro lavoro. Interesse di questi non è chi gestisce questi beni ma che si abbia la massima qualità al minor prezzo possibile. Altro problema è garantire, con i soldi di tutti, acqua e pane ai poveri. Va trovata la soluzione che non è necessariamente la gestione statale spesso, molto spesso, inefficace e inefficiente. Lo Stato, idea astratta, non è incarnato in privati cittadini – sia in veste di politici che di burocrati – suscettibili d’inettitudine e sciatteria se non anche d’interessi privati e corruzioni?! Obama, con i contributi alla General Motors, non ha trovato il modo di garantire, con i soldi di tutti, le automobili anche a chi non può pagarsele?!
Se invece di demonizzare il mercato lo si accetta per quel che è ovvero il teatro in cui si srotola la rappresentazione della battaglia continua che è la vita allora si scopre che la soluzione dei problemi dei polli sta solo e soltanto nelle mani dei polli che devono cessare di aggirarsi come allocchi a razzolare le briciole che cascano dalla mensa per diventare adulti capaci di una loro forma con cui confrontarsi e compromettersi coi lupi.
(°) A margine. Perché, anche all’interno del vecchio e glorioso Partito Comunista Italiano, si è rifiutato, negli anni settanta, quel progetto politico di Enrico Berlinguer che andava sotto il nome di austerità?! La parola “austerità”, a dir la verità, non è stata tanto felice. Austerità suscita idee di limitazioni e ristrettezze anche autoritarie. Come anche la parola “compromesso” pur accompagnata dall’aggettivo “storico” suscita idee negative quali “scendere a compromesso rispetto ai propri valori, ai propri ideali” eppure la parola “compromesso”, nel mercato, ha significato positivo, vuol dire riconoscere che la diversità degli altri non è barbarie ma i loro valori; vuol dire ammettere la simmetria ovvero che i nostri valori non sono assoluti e universali ma costituiscono la nostra diversità agli occhi degli altri; vuol dire costruire creativamente sulle diversità, arricchirsi reciprocamente, vuol dire fraternità, vuol dire la salvezza di tutti. Forse parole come sobrietà o parsimonia avrebbero reso più chiara l’idea politica che stava dietro alla parola austerità ma una parola sbagliata può far cadere una idea politica giusta?! Quell’idea forse era veramente profetica e, come tale, non poteva essere vista dai contemporanei in quanto profeta è colui che vede ciò che gli altri non vedono. E purtroppo non la si vede neanche dopo quarant’anni!
Ragusa, 28 marzo 2009
Ciccio Schembari
Pubblicato sul numero 45/2009 “Mercato globale” della rivista on line www.operaincerta.it