Ci lamentiamo spesso della mancanza di offerta culturale nella città capoluogo ed ecco che arriva, puntuale, l’ennesima conferma che negli altri comuni si è vivi e pimpanti.
L’associazione “La Girandola” di Comiso ha varato, lo scorso dicembre, una scuola di teatro, la cui direzione artistica è stata affidata alle cure appassionate di Marco Comitini. Durante questi mesi del 2012 il gruppo dei partecipanti è stato guidato dal regista catanese Giampaolo Romania, che ha curato il lavoro finale andato in scena al Naselli lo scorso sabato: Shakespearian Rhapsody il titolo della piece, a firma di Salvo Giorgio, co-regista e coordinatore del laboratorio.
La ragione per cui ne parliamo in questa rubrica è presto detta: la curiosità prima e la piacevole sorpresa dopo di una intelligente costruzione scenica ci rassicura sulle risorse, non solo potenziali, degli operatori culturali nella nostra provincia.
Il lavoro si basa su una struttura rappresentativa che diremo “a scatole cinesi” o – se volete – “a matrioska”: uno spettacolo in cui si racconta la costruzione scalcinata di uno spettacolo “shakesperiano” , da parte di una improbabile compagnia di alcoolisti, con personaggi e dinamiche del primo che quasi corto-circuitano i personaggi e le dinamiche del secondo, tipiche del grande bardo.
Operazioni di questo tipo sono rinomate (basti pensare, al cinema, al Truffaut di “Effetto Notte”) e garantiscono una immediata presa sui meccanismi di identificazione del pubblico (è più facile identificarsi con degli attori scalcinati che si piccano di recitare Amleto che identificarsi con Amleto…..), ma il risultato non è furbo e ammiccante: è intelligente nella scrittura ed esilarante nella messa in scena, una sorta di interminabile piano sequenza dentro cui avviene di tutto, comprese le improvvise esplosioni emotive di alcuni personaggi che mimano il carattere “sopra le righe” di buona parte del linguaggio teatrale classico.
La rapsodia del titolo, inoltre, è garantita dal carattere “popolare” dei diversi testi cuciti insieme, in uno spassoso patchwork linguistico dentro cui convivono teatro alto e avanspettacolo, discorso e metadiscorso, dizione forbita e sbracamenti dialettali.
Alla fine, ciò che inonda veramente è la passione travolgente degli attori, che mettono sul palcoscenico tutta lo loro anima anche a costo di… vendere l’anima al teatro. Che è poi l’essenza stessa del fare teatro: vendere la propria anima per l’immortalità di un breve istante scenico.