Per noi ragazzi, erano gli anni 50, c’erano solo due vestiti nuovi l’anno: uno primaverile per il Venerdì Santo e l’altro, estivo, per la festa di San Giovanni, la prima domenica di luglio.
Il primo sicuramente il più atteso.
Le sarte lavorano a pieno ritmo per una consegna che per me avveniva invariabilmente in ritardo, appena poco prima che la processione iniziasse. Si andava con le amiche in Basilica e in lenta processione si accompagnava il Cristo al Calvario. Una folla infinita recitante Rosari e Litanie ti assorbiva e ti rendeva nel contempo protagonista di un evento che ancora oggi si ripete fedelmente nella sua simbologia e nei suoi quadri lungo l’antica via dei Mille che diventa uno spazio sacro. Un misto di fede, a metà strada tra liturgia e cultura popolare..
Poi interviene la ragione a mettere a nudo il labile confine tra fede e tradizione, a togliere l’incanto di sentimenti intensi e di un credere oltre il visibile ed il possibile, ma dentro è rimasta intatta la sacralità di una giornata che mi ha spinto a volere vivere Il Mistero Pasquale nelle diverse rievocazioni che ne vengono fatte in varie città d’Italia.. Un percorso culturale che in realtà sottende un altro più profondo intimo bisogno. Un bisogno dell’anima dunque, irrazionale quanto si vuole, ma un bisogno profondo , irrinunciabile. Ovunque la stessa atmosfera, la stessa emozione. In alcune località le celebrazioni assumono una spettacolarità particolare tale da creare un’atmosfera di lutto e di dolore cui è impossibile sottrarsi, come avviene a Gubbio, illuminata solo da fiaccole e attraversata da incappucciati che cantano il Miserere, ” una vibrazione psicologica che avvolge uomini e cose”.
Una preghiera continua, ininterrotta che si snoda per le vie delle città, espressione di “un cordoglio collettivo messo in scena attraverso la Processione del Cristo Morto… i cui motivi probabilmente risiedono nel bisogno di continua espiazione che c’è nel credente, anche moderno. “
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Chiediamo perdono a LeCo ma il pezzo, perdutosi nel Web sabato scorso, non poteva essere riproposto l’anno venturo il venerdi santo. Torniamo quindi ndietro di una settimana per “gustare” questo intenso affresco di vita forse ormai defintivamente perduto.
Franco portelli