IL VINO BOLIVIANO

 

Pochi sanno cha la viticoltura è diffusa in qualche modo anche in Bolivia. La poca notorietà del vino boliviano deriva in parte dalla sua produzione molto limitata e in parte dall’enorme concorrenza del Chile e soprattutto dell’Argentina.

Le prime tracce della viticoltura in Bolivia datano al secolo XVI e vedono nei gesuiti i loro fautori. Così come il legame culturale tra i romani e il vino determinò l’espansione della vite in tutto il territorio dell’impero, l’importanza del vino nella simbologia cristiana portò, in modo meno marcato, l’espansione della vite in tutti i paesi, ove vi era una comunità cattolica tanto numerosa o troppo isolata da non poter soddisfare le proprie esigenze dall’importazione di vino.

Una vera produzione di vino boliviano si avrà però soltanto a partire dal XX secolo; più precisamente dal 1925 con la fondazione della Sociedad Agrícola, Ganadera, Industrial de Cinti.

Il livello qualitativo della produzione di vino boliviano è stato per molti anni parecchio discutibile, con tecniche di produzione sotto il limite della decenza. Inspirati dalla vicina Argentina, alcuni produttori hanno deciso di migliorare notevolmente i loro prodotti. Un miglioramento non privo di difficoltà dettate soprattutto da problemi pedoclimatici. L’elevata umidità e le grandi precipitazioni rendono molto complicato ottenere un’annata regolare. Spesso parte della produzione è irrimediabilmente danneggiata da problemi fitosanitari. La necessità di difendere l’uva dall’umidità del terreno ha fatto sì che, dopo vari tentativi mal riusciti, si sia optato per lo più per la coltivazione a spalliera alta. Un sistema questo non privo del tutto di limiti, ma certamente più idoneo del tendono, se si vuole ottenere uva di qualità.

La coltivazione delle vite in Bolivia non è indirizzata solamente alla produzione di vino, anzi la maggior parte di questa viene destinata alla produzione del Singani, l’omologo boliviano del Pisco peruviano e cileno, o al consumo di uva da tavola. In particolare è il Singani il prodotto derivante da uva più diffuso in Bolivia. Di conseguenza il moscato d’Alessandria, uva dalla quale nasce questo distillato, è anche il vitigno più diffuso nel paese.

Le altre uve presenti nel territorio sono il cabernet sauvignon, il malbec, il tempranillo, il merlot, la garnacha, il syrah, la barbera, il tannat, il sangiovese, il franc colombard, il riesling, lo chardonnay, il sauvignon blanc, l’ugni blanc, conosciuto da noi come trebbiano, il pinot blanc, lo xarello e il parrellada.

Tutti questi vitigni si trovano coltivati ad altitudini decisamente elevate: a 1700 metri nella zona più bassa della valle del Tarija e a circa 2800 metri nel Tomayapo. Altitudini  considerevoli danno ai vini colori molto brillanti e intensi per l’alta percentuale di acidità presente e odori molto fruttati, di frutta fresca, mai troppo matura. Sono vini questi, quando fatti con criterio, molto intriganti, sebbene poco propensi all’invecchiamento.

L’uso della barrique è relativamente recente e i vini invecchiati in legno sono ancora un numero molto irrisorio, sebbene la tendenza sia quella di imitare l’Argentina e proporre anche vini da invecchiamento.

Purtroppo reperire vini boliviani fuori dal paese d’origine non è assolutamente facile. Le esportazioni sono molto limitate. Basti pensare che il fatturato è di soli 150.000 dollari. Ad ogni modo questi vini sono destinati soltanto a pochi paesi, quali la Germania, la Svizzera, la Spagna e gli Stati Uniti.

La produzione boliviana, già non proprio abbondante, viene indebolita anche dal fatto che il mercato interno consuma pochissimo vino, senza dire poi dell’enorme concorrenza dell’Argentina, i cui vini sono molto richiesti tra gli stimatori di vino presenti nel paese.