Si sta definendo in questi giorni il programma della festa “Crisci ranni 2013” 2013 che si svolgerà il sabato dopo Pasqua nell’area attrezzata Padre Basile (ex Foro Boario) a Modica. L’idea centrale quest’anno è che la festa, quando è vera, corrisponde a desideri profondi dell’uomo e permette di incontrarsi, seppur diversi, con i valori umani di cui tutti i popoli sono portatori. Questo spinge a leggere diversamente fenomeni come l’immigrazione, che arrivano a noi con un carico di dolore che spesso abbrutisce e fa emergere aspetti problematici che spingono a frettolosi giudizi. D’altronde questo accadeva anche per gli italiani nelle loro emigrazioni. Nel tempo impariamo invece a conoscere quanti vengono da lontano e dimorano tra di noi e comprendiamo meglio che ognuno di loro porta un bisogno ma anche un desiderio, un’urgenza di sopravvivenza ma anche un sogno, un carico di dolore ma anche di speranza. Ecco perché “Crisi ranni 2013” vorrà anzitutto cogliere il valore dell’incontro e i valori iscritti nelle feste dei popoli. Ancor più si vuole, nel far festa, ripensare la città. Da qui il Convegno diocesano che si terrà la sera precedente, venerdì 5 aprile, alle ore 19,30 presso la Domus S. Petri di Modica con un relatore d’eccezione: l’arcivescovo di Agrigento Mons. Franco Montenegro, noto per le sue profetiche denunce dei mali della nostra Isola e per le sue lucide parole sull’immigrazione. Peraltro è nella sua diocesi l’isola di Lampedusa e il suo pastorale è stato fatto dai pescatori di Lampedusa con legna dei barconi approdati sull’isola con il loro carico umano di dolore. Il tema assegnatogli spinge a leggere in profondità ciò che accade: “La tenda di Abramo era aperta ai quattro venti. L’immigrazione come segno dei tempi”. E d’altronde, lo stesso Mons. Franco Montenegro ha sottolineato più volte questa valenza del fenomeno immigrazione: “L’accoglienza – ha ricordato in occasione della festa di San Calogero – non è fare una semplice elemosina, ma accogliere la persona che ho di fronte. Accogliere lo straniero è fare spazio nella città, nelle leggi, nella casa, nelle amicizie. L’accoglienza è diversa dalla beneficenza. Insomma il forestiero va accolto come riceveremmo il Signore, cioè con riguardo, con delicatezza, umilmente. Il mondo e perciò soprattutto il cristiano vanno verso l’unità della famiglia umana. Non è possibile accettare un popolo superiore ad altri popoli. Gesù è morto sulla croce per riunire la famiglia umana: è morto perché nel mondo ci fosse uguaglianza e solidarietà, e non interessi di parte. Si potrebbe dire: dal modo con cui i cristiani guardano lo straniero e gli esclusi si comprende in quale Dio essi credono”. Sono parole che valgono anzitutto per i cristiani ma diventano illuminanti per tutti, se vogliamo un mondo più fraterno e giusto. Iniziando dalle nostre città che sempre più sono una mescolanza di genti, dalle nostre scuole che sempre più hanno la presenza di figli di immigrati di seconda generazione, dalla nostra economia e società che hanno bisogno degli immigrati (pensiamo alle badanti per gli anziani o a tanti lavori che noi non facciamo più). L’augurio, allora, è che il doppio appuntemento – Convegno e festa – diventi emblematico di un impegno a trecento sessanta gradi per cogliere nell’immigrazione l’opportunità di una crescita e di un capacità di ripensarci meglio come parte dell’unica famiglia umana e come città che nell’inclusione ripensano i propri valori e accolgono valori di altri popoli rafforzando “ciò che ci fa restare umani”.