Ingiusto criticare i genitori che regalano i fiori agli alunni per la Maturità

La rubrica dello psicologo, a cura di Cesare Ammendola

È il nuovo sport nazionale sui social: “Dagli al fioraio”. Io sono allibito. In tanti hanno condiviso su Facebook la filippica di un “insegnante/blogger” che si scaglia contro la consuetudine di molti genitori, colpevoli di aver regalato mazzi di fiori, rose e feste per l’esame di maturità delle figlie e dei figli. 

La tesi del post trasuda un paternalismo demagogico che sfida anche le leggi elementari della logica. Non è elegante. Per cominciare, l’atteggiamento inquisitorio di chi dall’alto condanna indiscriminatamente, senza ascoltare e comprendere le motivazioni altrui, di per sé è la punta dell’iceberg di un’attitudine crescente alla “violenza verbale” nella degenerazione di un mondo superficiale e acchiappalike che non di rado disconosce sensibilità ed empatia. La condanna infatti è definitiva: questa scelta degli irredimibili e ignari familiari contribuirebbe alla deriva educativa di un mondo in tragico declino.

Ma in realtà nel suo post vengono accostati arbitrariamente due comportamenti profondamente diversi: da una parte lo slancio nobile degli affetti intesi a riconoscere l’impegno di cinque anni (nel momento della chiusura di un ciclo di vita), dall’altra la degenerazione negli ultimi anni di una tendenza della scuola italiana (e delle agenzie educative) nel “perdonare” qualsiasi cosa agli alunni che non meritano e nel coccolarli a prescindere.

In realtà, nel post, a dispetto della logica, vengono messi insieme in una marmellata di limoni e broccoli due fenomeni che non hanno correlazione reale (il lassismo e buonismo educativo da un lato e la strategia del rinforzo psicopedagogico dall’altro).

Io sono convinto che si debba premiare quando c’è qualcosa da premiare. Altrimenti l’azione educativa tout court non ha significato ed efficacia.

E se, come dice il post, il mondo reale (l’università, il posto di lavoro) saranno popolati di spietati e ingiusti caini, noi non dobbiamo preparare i nostri figli a quel mondo facendo i caini con loro già ora e sempre. Mi sembrerebbe una psicopedagogia da Stanley Kubrick più che da Maria Montessori.

E i mazzi di fiori, contrariamente a quanto da lui sostenuto, non sono per un orale preparato a metà, ma per gratificare e condividere gli sforzi, i (piccoli o grandi) sacrifici e le rinunce di un intero percorso di cinque anni (pandemia inclusa). Come si fa a non capirlo? In questo senso, è anche un apprezzamento dell’importanza della scuola (così bistrattata in Italia) nel passaggio delle biografie personali. 

E soprattutto è una forma d’amore per i figli. Per i nipoti. Chissà, forse la delicatezza, la generosità sono diventate sospette agli occhi di un mondo incattivito.

Ecco perché dovremmo regalare più rose e sorrisi se aspiriamo ad essere educatori credibili in un mondo più gentile.

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