Per il Giorno della Memoria ho intervistato una signora che ha vissuto personalmente il rastrellamento, sebbene non direttamente (non fu tra le persone rastrellate), dell’alba del sabato 16 ottobre 1943.
Signora Armida, Lei è una persona nata a Roma di religione ebraica. Quali sono le sue radici ?
Sì, sono nata a Roma, ma le mie radici sono lontane. Tenga conto che io sono ebrea sefardita quindi, come lei sa, sono di origine spagnola. Dopo la tristemente famosa espulsione dalla Penisola Iberica nel 1492, ad opera dei re cattolici Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona, la mia famiglia fu costretta a fuggire da Valladolid.
E dove si rifugiò?
Di preciso non so. Inoltre conosco soltanto ciò che avvenne nel ramo di mia madre Letizia, mentre del ramo di mio padre so poco o niente.
Mi parli allora della famiglia di origine di sua madre.
Conosco la storia a partire dal mio bisnonno, che fu Capo Rabbino a Budaperst (Ungheria). Verso la metà del Settecento, furono costretti a fuggire, per le solite ragioni razziali e andarono in Austria, a Vienna.
Nel corso della storia le ragioni razziali hanno spostato spesso le famiglie ebree e non solo.
Sì, certo, non siamo mica stati soli, ma ‘molto accompagnati’, purtroppo.
Proseguiamo con la storia della sua famiglia.
A Vienna è nato mio nonno nel 1878. Anche lui divenne rabbino.
Quindi lei proviene da una famiglia di rabbini.
Sì. Mio nonno in seguito ha dovuto fuggire da Vienna e si rifugiò a Trieste, diventandone il primo rabbino, e dove inaugurò proprio lui il Tempio, o per meglio dire la Sinagoga.
Sì, infatti per gli Ebrei il Tempio è solo quello di Gerusalemme…
…Che ai tempi della dominazione romana, nel 70 d.C., è stato distrutto da Tito dopo avere sedato la rivoluzione. Resta in piedi ancora oggi, come è noto, il muro occidentale chiamato Muro del Pianto. Noi chiamiamo Tempio la Sinagoga, solo in ricordo di questo.
Prego, prosegua quanto stava raccontando del nonno.
Da Trieste è dovuto andare via, sfollato (Prima Guerra Mondiale), e arrivò a Roma dove conobbe la prima moglie e si sposò. Ebbe quattro figli e poi rimase vedovo, quindi conobbe mia nonna Armida (si chiamava come me), originaria di Livorno. Le faccio notare, a proposito di questa città toscana, allora denominata La piccola Gerusalemme, perché permetteva agli ebrei, pare unica in Europa, di abitare con il resto della popolazione anziché nei ghetti, per cui lei aveva trascorso una fanciullezza serena.
Interessante.
Certo. I miei nonni si sposarono nel 1898, abitarono nel Ghetto di Roma nella scuola (tuttora esistente), dove lavorava come portiere.
Anche lei era sefardita?
Sì, a questo proposito le racconto una piccola curiosità. Mia nonna era stata al servizio della regina Margherita di Savoia, come sua pettinatrice, e, quando nel 1893 la regina festeggiò le nozze d’argento, mia nonna fu invitata e le venne usata la cortesia di mandarle l’invito scritto sia in italiano che in ebraico (possiedo io questo documento).
Molto apprezzata, vedo.
Sì, ma non solo a corte. Lei è stata una gran donna di famiglia. Ha allevato anche cinque figli suoi in modo esemplare, oltre a quelli della prima moglie di mio nonno.
Abitarono alla scuola?
No, il nonno si stabilì con la moglie e alcuni figli a Trastevere, dove la morte lo colse nel 1930, l’anno in cui la Germania di Hitler otteneva un primo importante successo elettorale. Il resto della famiglia ha vissuto per vedere di che cosa era capace il caporale bavarese.
Rimase sempre nell’appartamento in Trastevere?
Sì, e nel ’43 con due figli, di cui uno scapolo di 35 anni e uno di 47, con moglie e con tre ragazzi di 11, 17 e 19anni.
Spesso stava con mia nonna anche mia sorella maggiore in quanto, morta la madre di parto del secondo figlio, lei, che aveva solo un anno, era stata allevata dalla nonna e dalla zia Letizia, che poi sposò in seconde nozze il cognato, cioè mio padre.
E il 16 ottobre del 43?
Ho scritto un libro sulla mia famiglia e quell’evento in particolare. E’ ancora inedito. Se vuole le dò il brano che racconta quanto successe.
Volentieri. Credo, da quanto mi dice, che lei abbia fatto ricerche sulla famiglia e non solo.
Altroché, consideri che durante il rastrellamento sono scomparse sei persone, mie parenti… e nessuno è tornato.
Sono tutti morti?
Ufficialmente, sì, ma di certo (comprovato) quattro sono morti ad Auschwitz: mia nonna Armida, i due zii, la moglie dello zio, (l’ho perfino vista coi miei occhi in un documentario televisivo, morta e sopra una carriola con ancora il suo cappotto di quando era stata portata via). Io ipotizzo che sia morta subito, all’arrivo. Mentre dei due cugini, di 11 e 17 anni, non se ne è più saputo nulla di certo (troppe notizie discordanti), mentre quello di 19 anni si è salvato solo perché quella sera non era rientrato a casa e si era fermato a dormire da un amico.
A questo punto metterei il brano di cui mi accennava poc’anzi.
Volentieri. Vorrei solo aggiungere prima un’ultima cosa. Come certamente saprà quest’anno il Giorno della Memoria è dedicato in particolare alla resistenza ebraica. Mio padre Giacomo, era un uomo molto in gamba, ha salvato molte persone oltre alla mia famiglia. Faceva parte della resistenza. Ci sarebbe molto da raccontare, ma a questo punto sarebbe troppo lunga. Volevo, però, ricordare quanto è stato importante nella mia vita.
Ecco il brano:
La sera prima di quello sciagurato 16 ottobre 1943, mia sorella si trovava da mia nonna. Per gli ebrei osservanti, come lo eravamo noi, il venerdì subito dopo il tramonto, si celebra lo shabat, il giorno del riposo. Quella sera, nella nostra casa ai Parioli, come d’abitudine, mia madre aveva benedetto e acceso le candele dello Shabat (sabato)sulla tavola. Dopo il Kiddush (benedizione con il vino) era iniziata la cena.
Fuori cadeva la pioggia minuta e insistente. Fu durante la cena che mio padre si alzò di scatto dalla tavola e, senza dare tante spiegazioni, disse che andava a prendere la figlia dalla nonna.
Ricordo che il viso di mio padre era molto pallido. Senza aggiungere altro, indossò il cappotto e uscì, seguito da mia madre che cercava di dissuaderlo.
Ma se ne andò ugualmente, malgrado ci fosse il coprifuoco.
In casa calò la paura.
Quando mio padre arrivò dalla suocera, tutti restarono stupiti dalla visita in quell’ora tarda. Lui disse: “Sono venuto a prendere mia figlia. Ho un brutto presentimento. Sono certo che i tedeschi hanno pianificato qualcosa e potrebbero agire già questa notte!” e propose a tutti di andare via con lui. Sicuramente aveva un posto dove andare a nascondersi e voleva lo facessero tutti insieme. A quel punto mia nonna rispose: “Che se ne fanno di una vecchia come me?”
Il figlio celibe, per non lasciare sola la madre, decise di restare. “Rimango anch’io.” disse il fratello sposato “I nazisti non oseranno toccare gli ebrei sotto gli occhi del Papa.”
Mio padre allora rispose: “Non posso obbligarvi a venire con me, ma mia figlia la porto via. Vorrà dire che seguirà il mio destino. Almeno saremo insieme:”.
Salutò tutti con affetto, fece loro gli auguri e uscì accompagnato a mia sorella.
Quella sera in casa mancava un figlio di mio zio, il maggiore, che si era fermato a dormire da un amico.
La mattina all’alba, erano le cinque, i tedeschi entrarono nel Ghetto di Roma e trascinarono via circa 1200 persone, sorprese nel sonno festivo, con estrema brutalità.
Il 16 ottobre del 1943 il Ghetto ebraico si presentava tragicamente deserto.
Il resto è storia. Milioni di ebrei deportati, senza contare altre comunità come, ad esempio, gli zingari. La maggior parte non è tornata.
Ricordiamocelo.