L’ostruzione acuta delle coronarie costituisce rientra di per sé nella «causa violenta» ex articolo 2 del dpr 1124/65, che ben può essere integrata anche dalla pressione psicologica e ambientale quando il colpo al cuore scatta in occasione della prestazione lavorativa. Ed è infortunio in itinere qualunque sinistro che si verifica lungo il tragitto casa-lavoro con la sola eccezione del rischio elettiva, vale a dire la scelta arbitraria del lavoratore che cade su un percorso diverso da quello normale.
Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza 5814/22, pubblicata il 22 febbraio dalla sezione lavoro. È accolto dopo una doppia sconfitta in sede di merito il ricorso degli eredi. Sbagliano i giudici del merito a escludere la tutela indennitaria nei confronti della vedova e dei figli del manager morto in Cina; dopo la cancellazione del volo per maltempo e una lunga attesa in aeroporto, il dirigente è costretto a un pernottamento di fortuna e un viaggio in treno di 700 chilometri fino a Pechino per partecipare a una riunione: lo troveranno morto nella camera d’albergo. In particolare la Suprema Corte con questa sentenza, di cui ha scritto il sito Cassazione.net, riporta, in concreto ha rilevato un duplice errore della Corte d’appello de L’Aquila, che esclude la configurabilità sia dell’infortunio in itinere sia della causa violenta: quanto al primo la tutela antinfortunistica scatta ogni volta che c’è un rapporto finalistico fra il percorso normale casa-ufficio e la prestazione lavorativa.
E dunque non si può ritenere estraneo all’attività di servizio il rischio affrontato dal lavoratore: dalla cancellazione del volo al viaggio avventuroso in treno fino alla riduzione delle pause di riposo fisiologiche. L’infarto al miocardio integra di per sé la causa violenta della morte perché si risolve in una rottura dell’equilibrio nell’organismo del lavoratore concentrata in una minima frazione di secondo. E dunque costituisce infortunio sul lavoro quando risulta collegato sul piano eziologico a un fattore di servizio.
Né conta l’eventuale patologia pregressa, che anzi può rendere più gravose attività di solito non pericolose e giustificare il nesso fra attività lavorativa e infortunio. Anche lo stress può integrare la causa violenta: è in grado di determinare la lesione con un’azione rapida e intensa. Parola al giudice del rinvio.