Che cosa è la mafia di Gaetano Mosca, che inaugura la collana tascabile «Passato e presente» delle Edizioni di storia e studi sociali, occupa un posto importante nel panorama delle analisi sulla mafia che in Italia si sono succedute dagli anni sessanta del XIX secolo. Si tratta di uno scritto sintetico, ben strutturato, frutto di una conferenza tenuta dallo studioso a Milano nel 1900, quando nella Corte d’Assise di questa città si celebrava il processo per il delitto Notarbartolo.
Il sociologo, che con Wilfredo Pareto è stato tra i fondatori della scuola elitista, definisce i caratteri essenziali del fenomeno: lo spirito di mafia che permea la società siciliana, e non solo siciliana; l’omertà, che consente agli ambienti mafiosi di prosperare; infine, la capacità delle cosche di costituire un potere reale e di relazionarsi in modo organico con i poteri costituiti e legali. Nel definire queste relazioni, Mosca parla quindi di una mafia «in guanti gialli», e, in particolare, «della protezione che individui delle classi superiori, qualche volta investiti del mandato politico … accordano alle cosche di mafia», allo scopo di consolidare il loro potere nello Stato e i propri patrimoni. Osserva lo storico Marcello Saija nell’introduzione: «Ecco delineato perfettamente il “terzo livello” che ha caratterizzato la storia dell’organizzazione criminale fino alla rivoluzione della droga. Questo tipo di relazioni sono state la norma fino a quando il sistema politico italiano ha visto la mafia come complice subalterna di partiti e correnti politiche».
Proprio il processo di Milano, che vede imputato il senatore Raffaele Palizzolo, accusato di essere il mandante dell’uccisione di Emanuele Notarbartolo, offre del resto al sociologo palermitano argomenti aggiuntivi, che gli permettono di porre la tragica vicenda siciliana in un contesto più ampio, di capitalismo criminale. Scrive Mosca: «I buoni Milanesi che ora esterrefatti cercano la spiegazione di tante debolezze, di tante acquiescenze delle autorità di Palermo, se vogliono davvero capacitarsi del triste mistero, non occorre che guardino alla lontana Sicilia, basta che ricordino un altro processo svoltosi dalle origini alla fine molto vicino a loro, nel quale si è pure manifestata una lunga impotenza della polizia e della magistratura nel colpire persone alto locate implicate in truffe bancarie; basta che pongano mente alla lunga impunità di cui ebbe a godere Filippo Cavallini». E aggiunge: «Questo arresto, o almeno questo incaglio che hanno subito le funzioni delle nostre autorità poliziesche e giudiziarie ogni volta che si è trattato di scoprire e punire un reato intimamente connesso a grossi abusi bancari, si spiega in una maniera identica per tutta l’Italia, e la spiegazione è grave ma semplice. Quella stessa serie di errori e di colpe che rese possibile fra noi lo spesseggiare dei reati bancari ne ha prodotto la semi-impunità. Essa è dovuta al fatto che attorno al circolo, relativamente scarso, dei veri concussionari vi è stato un circolo molto più grande, nel quale è entrata buona parte del nostro mondo politico, ed i cui componenti consentirono che dalla legge si uscisse, che irregolarità fossero consumate, e, senza volerlo, senza quasi saperlo, furono avvolti in una specie di complicità coi concussionari, perché hanno con essi secreti comuni, che costituiscono il vincolo terribile per il quale sono costretti ad aiutarli».
Gaetano Mosca, Che cosa è la mafia, a cura di Marcello Saija, Edizioni di storia e studi sociali, Cava d’Aliga, 2013, pp. 80, euro 8,00. ISBN 978-88-908548-6-6