Solitamente la scelta della squadra del cuore segue dei canoni molto rigidi, sia a livello di fascia temporale che di “musa ispiratrice”. L’arco di tempo nel quale un bambino comincia realmente ad appassionarsi a questo magnifico gioco va, approssimativamente, dagli otto ai dieci anni e si tende, di massima, a seguire la fede calcistica paterna, in una sorta di rito teso a procrastinare l’amore della propria “dinastia” per un dato sentimento “pallonaro”. Così, fin da piccolissime, nuove giovani generazioni di tifosi potranno, solo a posteriori (dopo una certa esperienza sul campo), capire quale sarà il destino che le aspetta. In questo caso, le vie sono le seguenti due: da un lato la tranquillità, si potrebbe definire quasi agiatezza, di supportare una delle tre squadre del nord, vincenti per antonomasia; mentre dall’altro il sentimento che prevale è quello della sofferenza, tipico di team come Roma e Napoli, strettamente legato allo stato di “eterne seconde” che genere continui e perenni rimpianti.
L’essere romanista: può, a buon ragione, essere assimilato ad una vera e propria “missione”, per la quale una figura superiore seleziona gli esponenti maggiormente appropriati, al fine di adempierla senza conseguenze nefaste. Non a caso, oltre ad avere una bacheca tutt’altro che piena, il tifoso romanista può sfoggiare, tra una gamma piuttosto vasta, le seguenti tre “tragedie sportive” di assoluto livello: Roma-Liverpool, Roma-Lecce e Roma-Sampdoria.
• Il 30 Maggio 1984, la squadra giallorossa ha l’occasione, più unica che rara, di potersi giocare una finale di Coppa dei Campioni in casa, dopo una competizione giocata con assoluta autorità ed estrema brillantezza. Dinnanzi i reds del Liverpool, vero e proprio squadrone con un esperienza significativa in partite di questa importanza, con tutte le implicazioni psicologiche del caso. Dopo una gara molto equilibrata, finita sul risultato di 1 a 1, sono i tiri dal dischetto a decretare il vincitore, per la stagione calcistica in essere, della massima competizione europea per club. Sotto alla propria, tanto famigerata, Curva Sud i giallorossi, nell’occasione in completo bianco, di Liedhold soccombono per colpa degli errori di Graziani e della bandiera Bruno Conti, oltre che per l’influsso disorientante dei movimenti da pagliaccio del portiere Grobbelaar.
• Il 20 Aprile 1986, la Roma guidata da Eriksson ha l’occasione, dopo una sensazionale rimonta compiuta ai danni della Juventus, nella sfida interna contro il già retrocesso Lecce, di avvicinarsi all’obiettivo tricolore. Tuttavia, nonostante l’iniziale vantaggio, la compagine capitolina colleziona una clamorosa quanto pesante sconfitta per 2 a 3, che rende vana l’impresa compiuta nei mesi precedenti, facendo si che lo scudetto prenda, come spesso accade, la direzione della Torino bianconera.
•Il 25 Aprile 2010, giorno di Roma-Sampdoria, ha molti tratti in comune con i precedenti due episodi. Si accosta al 1986 per la clamorosa remuntada precedentemente compiuta sull’Inter galattica di Mourinho e all’84, ma se vogliamo è accostabile anche al secondo episodio, per via della sensazione di festa previa che si respirava in città, quasi come se battere i rivali di turno fosse nient’altro che una pura formalità. In un Olimpico stracolmo, la Roma di Ranieri parte fortissimo, giocando probabilmente uno dei migliori primi tempi di sempre. Quest’ultimo si conclude sul risultato di 1-0, gol dell’immenso capitano Francesco Totti, esclusivamente per via della serata a dir poco di grazia del portiere blucerchiato Storari, da sempre dichiaratosi fervente tifoso romanista. Nella ripresa, sono sufficienti due colpi da bomber di Giampaolo Pazzini per portare nuovamente il tricolore lontano dalla Roma giallorossa, rompendo tra l’altro un imbattibilità, tra tutte le competizioni, che durava da ben 24 partite.
Ultime riflessioni: ciò detto, è quasi come se gli Dei del calcio si mettessero sistematicamente di traverso, facendo succedere ciò che a rigor di logica non è possibile, nel momento nel quale la passione deflagrante del tifo romanista sta per esplodere in tutta la propria sublimità. Tuttavia, questo “destino baro” fa sì che il rapporto tra supporter e squadra si trasformi costantemente in qualcosa di ancora più viscerale, e ce ne vuole visto il “discreto” punto di partenza, quasi come la protezione maniacale che una mamma da al proprio figlio dal momento in cui si rende conto che la vita non è stato troppo generosa con lui, imponendogli di partire sempre un gradino sotto rispetto agli altri (con il conseguente carico di fatica supplementare richiestagli). In conclusione, essere tifoso della Roma è tremendamente complicato, ma allo stesso tempo altrettanto magnifico…vedere la reazione dell’hinchada romanista al rigore decisivo, al minuto novantatre, di capitan Totti, nell’ultima gara interna contro la Sampdoria, per credere.