La Polizia Giudiziaria ha eseguito il fermo di ARJOUN Abdelkader, nato in Tunisia il 23.10.1986, ARJOUNE Sofiene, nato in Tunisia il 03.01.1984, MOUHAMED Abdrahmen, nato in Somalia il 01.01.1974 e AHMEDIN Ahmed, nato in Eritrea il 01/01/1994 in quanto responsabili del delitto previsto dagli artt. 416 C.P. e 12 D.Lgs.vo 25.7.1998 nr. 286, ovvero si associavano con altri soggetti presenti in Libia al fine trarne ingiusto ed ingente profitto compiendo atti diretti a procurare l’ingresso clandestino nel territorio dello Stato di cittadini extracomunitari eritrei. Il delitto è aggravato dal fatto di aver procurato l’ingresso e la permanenza illegale in Italia di più di 5 persone; perché è stato commesso da più di 3 persone in concorso tra loro; per aver procurato l’ingresso e la permanenza illegale delle persone esponendole a pericolo per la loro vita e incolumità ed inoltre per aver procurato l’ingresso e la permanenza illegale le persone sono state sottoposte a trattamento inumano e degradante.
I fermatoi si sono resi responsabili di aver procurato l’ingresso in Italia di 470 clandestini eludendo i controlli di frontiera in quanto in modo preordinato chiedevano i soccorsi mettendo in serio pericolo di vita tutti i passeggeri prevalentemente di nazionalità eritrea e somala.
I FATTI
Alle ore 16.45 del 13.07.2014 il pattugliatore Orione della Marina Militare Italiana, impegnato nell’ambito dell’operazione Mare Nostrum si dirigeva verso l’intercetto di un barcone clandestino in legno, già localizzato dai radar. Alle ore 17.52 l’unità clandestina veniva avvistata otticamente dalla nave di soccorso in posizione, punto marittimo questo ricadente all’interno dell’area SAR maltese e tutte le numerose persone che vi si trovavano a bordo erano sprovviste di ogni dotazione di sicurezza individuale. Alle ore 18.40 il pattugliatore Orione, riuscito ad avvicinarsi all’imbarcazione clandestina, metteva in mare alcune idrobarche ed il personale rappresenta la palese richiesta di soccorso da parte degli occupanti del natante clandestino. Si attuavano tutte le procedure tese alla salvaguardia della vita umana e successivamente tutti gli occupanti del barcone venivano trasbordati sull’unità di soccorso. Tali operazioni, ultimate alle ore 20.13, permettevano il recupero di 273 persone di cui 191 uomini, 61 donne e 21 minori, prevalentemente di nazionalità eritrea ma anche somala e di altri paesi centro africani. Parimenti alle ore 17.05 circa del 13.07.2014 e sempre nell’ambito dell’operazione Mare Nostrum la nave Fenice, procedeva all’intercetto di un gommone carico di immigrati ed anche in tale caso venivano attuate tutte le procedure di sicurezza che venivano concluse alle ore 20.33 circa con il recupero dei 101 migranti che vi erano a bordo di cui 52 uomini, 18 donne e 31 minori. Successivamente la medesima unità militare intercettava un altro gommone sul quale si trovavano altri 96 migranti tutti di sesso maschile, di cui 8 minori, anch’essi tratti in salvo a conclusione delle relative procedure che terminavano alle ore 21.02 circa. In ore successive i 273 soggetti tratti in salvo dal pattugliatore Orione venivano fatti salire sulla nave Fenice ed associati ai migranti recuperati da tale unità navale. A mezzo della stessa tutti i migranti tratti in salvo venivano fatti sbarcare al porto di Pozzallo per essere poi ospitati nelle strutture del C.P.S.A all’interno dell’area portuale e del centro di prima accoglienza Ragusa in c.da Cifali.
ORDINE PUBBLICO ED ASSISTENZA
Le operazioni di sbarco al porto di Pozzallo venivano coordinate dal Funzionario della Polizia di Stato della Questura di Ragusa responsabile dell’Ordine Pubblico. A tali operazioni partecipavano 30 Agenti della Polizia di Stato ed altri operatori delle Forze dell’Ordine, la Protezione Civile, la Croce Rossa Italiana ed i medici dell’A.S.P. per le prime cure.
Completate le fasi di assistenza e identificazione da parte dell’Ufficio Immigrazione della Questura, i migranti venivano ospitati al C.P.S.A. di Pozzallo (RG) ed una parte al centro di accoglienza di c.da Cifali a Ragusa.
Contestualmente all’arrivo dei migranti a bordo delle due navi, l’Ufficio Ordine Pubblico della Questura di Ragusa traferiva mediante un aereo charter 150 ospiti degli sbarchi precedenti.
LE INDAGINI
Gli uomini della Squadra Mobile della Questura di Ragusa e del Servizio Centrale Operativo (Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato), collaborati da un’aliquota della Sez. Oper. Nav. della Guardia di Finanza di Pozzallo ed un’aliquota della Compagnia Carabinieri di Modica sin dai primi istanti dell’approdo delle motovedette hanno iniziato le indagini.
I contatti tra la Squadra Mobile di Ragusa e la sala operativa di Roma che gestisce le unità navali della Marina Militare iniziavano già la sera precedente allo sbarco mediante lo scambio di materiale video ed interviste dei migranti fatte a bordo. Acquisiste le prime notizie si apprendeva che la Marina Militare aveva soccorso ben tre imbarcazioni per complessivi 470 migranti recuperati.
In considerazione di quanto appreso venivano organizzati 3 team specializzati in indagini su criminalità straniera cosicchè all’arrivo della nave al porto di Pozzallo gli investigatori appartenenti alla Polizia Giudiziaria iniziavano uno screening dei presenti individuando sin da subito due tunisini che dall’aspetto fisico potevano essere coloro che avevano condotto una delle tre imbarcazioni soccorse.
Per gli investigatori isolare sin da subito i sospettati è di fondamentale importanza in quanto dona serenità ai migranti per una successiva testimonianza, li priva della minaccia anche solo gestuale mediante lo sguardo a cui tutti i passeggeri sono soggetti.
Dalle prime testimonianze rese a caldo dai migranti era possibile apprendere che le tre imbarcazioni soccorse erano partite dalla stessa spiaggia in Libia e che insieme avevano navigato in mare aperto fino a ritrovarsi sulla nave italiana. In pratica si trattava di una vera e propria flotta organizzata dalla Libia in direzione delle navi soccorritrici italiane.
In considerazione di quanto appreso, venivano dapprima rassicurati e successivamente escussi i testimoni che riferivano ogni dettaglio del viaggio e delle condizioni disumane alle quali erano stati costretti in Libia.
Grazie all’aiuto degli interpreti di fiducia della Polizia Giudiziaria provenienti dagli stessi paesi d’origine dei testimoni e perlopiù con le stesse esperienze alle spalle (anche loro pochi anni prima sono giunti in Italia con imbarcazioni clandestine) era possibile raccogliere importanti ed inconfutabili elementi indiziari a carico dei 4 fermati.
Grazie quindi alle testimonianze è stato possibile procedere al fermo degli indiziati di delitto, reato da loro commesso per quasi 5.000 dollari cadauno e per il quale rischiano diversi anni di carcere.
La professionalità degli uomini della Polizia Giudiziaria ha permesso di individuare anche questa volta gli autori dei questo traffico di migranti ormai diventato sempre più businnes per gli organizzatori libici che in questa occasione, stante quanto dichiarato dai testimoni hanno incassato 1.500 dollari a persona per un totale di oltre 700.000 dollari.
Tutti e 470 migranti si trovavano nello stesso capannone in Libia e quando toccava a loro partire, venivano tutti svegliati e messi su alcuni furgoni telonati e trasportati come bestie nei pressi di una piccola spiaggia. Da li, a piedi, uomini, donne e bambini si incamminavano per qualche kilometro per raggiungere le piccole imbarcazioni che facendo da spola li caricavano tutti su due gommoni ed un peschereccio in legno. Ultimate le operazioni di carico con non poche violenze per far fretta ai migranti, le tre imbarcazioni partivano come una vera e propria flotta in direzione dell’Italia ed in modo preordinato con telefono satellitare chiedevano aiuto per far giungere i soccorsi.
LE TESTIMONIANZE
La testimonianza:
sono eritrea ed ho due figlie di 13 e 2 anni, sonoconiugata e faccio presente che mio marito in Eritrea svolge la professione di militare e per questo si trova ancora li.
In relazione al mio viaggio conclusosi con l’arrivo qui a Pozzallo faccio presente che un mese addietro, unitamente alle citate due mie figlie, mi sono trasferita in ****, nella città di *****, il tutto con l’obiettivo di raggiungere l’Italia, attraverso la Libia. Ho conosciuto degli elementi appartenenti ad una organizzazione criminale dedita al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina verso la Libia ed indubbiamente collegati con paritarie consorterie di tale nazione. Dico ciò in quanto la totale somma di 4.000 Dollari USA quale corrispettivo per il viaggio mio e delle mie figlie dal **** alla Libia e da tale paese, via mare, all’Italia l’ho corrisposta direttamente agli elementi della consorteria criminale. Il viaggio ha avuto inizio un mese addietro, allorquando trasferivano me e le mie figlie unitamente ad altri 106 soggetti in pieno deserto ******, ove si giungeva dopo tre giorni di viaggio a mezzo di due camion sui cui cassoni tutti quanti trovavamo posto come bestie. In tale luogo tutti quanti venivamo consegnati ad elementi appartenenti ad un’organizzazione *****. Sin da subito si sono dimostrati più cattivi e molti di noi sono stati picchiati, anche per piccole mancanze. In territorio **** tre dei miei compagni sono deceduti e ciò non solo a causa della mancanza di acqua, ma anche per le violente percorse subite. Il viaggio tra ****** e la città libica ********** ha avuto la durata di altri quattro giorni, il tutto dopo una permanenza in ******* di due giorni. Una volta ad ********** siamo stati allocati all’interno di un magazzino ove erano stati concentrati altri soggetti, anche questi destinati al viaggio clandestino verso l’Italia. All’interno della citata struttura vi era la presenza di circa 400 soggetti, di cui donne e bambini. Sono rimasta all’interno del magazzino per complessivi nove giorni e durante tale permanenza ho subito notevole disagio per le condizioni di vita ivi esistenti. Più nel dettaglio tali locali, notevolmente insufficienti ad ospitare un così alto numero di soggetti, non erano sufficientemente areati. Si dormiva sul pavimento e l’unico servizio igienico non era sufficiente per tutti quanti. I libici che ci vigilavano costantemente erano armati di pistole, fucili e di taser (strumento che rilascia scariche elettriche), arma quest’ultima che utilizzavano nei confronti dei soli soggetti di sesso maschile. Nessuno di noi poteva lasciare il magazzino. Il cibo, costituito esclusivamente da pasta condita con olio, ci veniva corrisposto due volte al giorno in quantità non sufficiente alle nostre necessità alimentari. L’acqua aveva un sapore fortemente salmastro. In qualche occasione ho visto i libici esplodere colpi di pistola dirigendo la traiettoria del proiettile direttamente sulla pavimentazione del magazzino che era costituita da terra battuta. Ciò al solo scopo di impaurire noi allocati all’interno del magazzino e non perché vi fosse un reale motivo. In un’altra occasione ho dovuto assistere alla raccapricciante circostanza che ha visto un libico fortemente ubriaco indirizzare la sua pistola verso un eritreo e quindi esplodere all’indirizzo di quest’ultimo un colpo che lo feriva alla spalla destra. Tale soggetto è rimasto all’interno del magazzino all’atto della mia partenza da esso. Non ho assistito a particolari violenze sulle donne da parte dei libici. Durante i nove giorni di permanenza all’interno della struttura abitativa da me specificata sono venuta a conoscenza del modus operandi, ormai collaudato, adottato dai libici durante il viaggio che è quello di chiedere il soccorso in mare dell’imbarcazione clandestina dopo aver simulato un guasto al motore di quest’ultima. Tale strategia consente di giungere sul territorio italiano a mezzo delle unità di soccorso per cui il viaggio risulta di minore durata e non comporta particolari rischi per l’incolumità di tutti i passeggeri dell’imbarcazione. La partenza dal magazzino di ***** avveniva circa quindici giorni orsono allorquando giungeva un grosso camion il cui cassone dello stesso era stato modificato in modo da trasportare un più alto numero di soggetti. Più precisamente l’interno dell’alto cassone presentava più livelli, esattamente tre, ognuno di questi poco più alto di un metro, dove i passeggeri si accovacciano nel corso dei vari tragitti. Il camion, una volta carico, percorreva la strada che da *******conduce a *********ed ivi, una volta giuntivi, si recava in una campagna non molto distante dal centro abitato, dove vi era un altro magazzino, quest’ultimo molto più grande rispetto a quello di prima. In tale struttura ho trascorso altri tredici giorni e le condizioni di vita risultavano peggiori rispetto a quelle del primo magazzino, dato che personalmente ho assistito ad atti di violenza da parte dei libici anche nei confronti delle donne. Negli ultimi giorni di soggiorno nel magazzino suddetto, sono venuta a conoscenza, oltre che al già citato modus operandi delle consorterie libiche, di altri particolari relativi al viaggio per l’Italia ed in particolare del fatto che avrebbe visto tutti quanti noi occupanti del magazzino partire per l’Italia nel medesimo momento, ma a mezzo di imbarcazioni diverse e più specificatamente due gommoni ed una barca in legno.
La partenza da tale ultima struttura abitativa avveniva alle ore 08.00 del 12 decorso a mezzo di altro camion, quest’ultimo non artigianalmente modificato nel suo cassone. Il mezzo percorreva per circa un’ora una strada fino a giungere in una zona isolata adiacente ad una spiaggia. Tutti quanti venivamo fatti scendere dal camion e rimanevamo su tale sito fino alle ore 22.00 successive. Raggiunta tale ora, venivamo fatti incamminare fino a raggiungere la citata spiaggia. In acqua, poco distante dalla battigia, vi erano due gommoni; mezzi questi che venivano utilizzati per il trasbordo di tutti noi sull’imbarcazione di legno che si trovava in acque più distanti rispetto alla costa. Gli stessi gommoni compivano ben tre viaggi tra la spiaggia e la barca. Erano i libici a dirci i posti che dovevamo occupare sulla barca e personalmente sono stata sistemata, con le mie figlie, a prua della medesima. Ad alcuni di noi venivano fatti occupare i posti che si trovavano sul piano soprastante la cabina di pilotaggio, mentre altri venivano allocati all’interno della stiva del natante. Sull’imbarcazione di legno, pur tuttavia, non trovavano posto tutti i soggetti che prima erano sulla spiaggia ma solo una parte di essi, con l’esattezza 270. I gommoni, una volta effettuato l’ultimo trasbordo e ritornati sulla terraferma, venivano occupati dai restanti soggetti che colà si trovavano e tali mezzi, di cui uno pilotato dal suddetto somalo e l’altro dall’eritreo, lasciavano la costa assieme all’imbarcazione di legno sulla quale io mi trovavo. Tutti i libici dell’organizzazione rimanevano sulla spiaggia.
Durante il viaggio le persone che si trovavano all’interno della stiva hanno accusato malesseri dovuti a problemi respiratori, molti hanno accusato problemi di salute e agli stessi è stato permesso di salire in coperta nonostante il divieto perentorio che all’inizio del viaggio era stato loro impartito di rimanere sempre all’interno della stiva.
Il boccaporto che collegava la stiva alla coperta è stato chiuso dai libici poco prima della partenza dell’imbarcazione e circa un’ora dopo, considerate le evidenti precarie condizioni in cui versavano coloro che si trovavano nella stiva, noi tutti abbiamo rimosso lo sportello per permettere a questi ultimi un più agevole ricambio d’aria.
LA CATTURA
Le indagini condotte dagli investigatori durate 19 ore continuative, hanno permesso anche questa volta di sottoporre a fermo di indiziato di delitto i responsabili del reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Ogni migrante ha pagato in media 1.500 dollari per un totale di oltre 700.000 dollari che sono andati quasi tutti agli organizzatori e così come riferito dagli scafisti a loro sono andati 5.000 dollari.
Al termine dell’Attività di Polizia Giudiziaria coordinata dalla Procura della Repubblica di Ragusa gli investigatori hanno catturato gli scafisti e dopo le formalità di rito e l’identificazione da parte della Polizia Scientifica sono stati condotti presso il carcere di Ragusa a disposizione dell’Autorità Giudiziaria Iblea impegnata in prima linea sul fronte immigrazione, considerato che dopo il fermo iniziano tutte le fasi processuali particolarmente complesse.
LA GESTIONE DELL’ORDINE PUBBLICO
La Polizia di Stato responsabile dell’Ordine Pubblico sta gestendo la “macchina” organizzativa con grande dedizione permettendo un fluido arrivo e contestuale partenza verso altre mete dei migranti a bordo dei charter messi a disposizione del Ministero dell’Interno così come accadrà anche nella data di oggi.
Gli uomini e le donne della Polizia di Stato stanno dando grande esempio di professionalità e spirito di abnegazione in considerazione della gestione degli arrivi, l’identificazione, le indagini di Polizia Giudiziaria ed i trasferimenti, così come tutto il lavoro che inizia nelle fasi successive allo sbarco.
L’Ufficio Ordine Pubblico per disposizioni del Questore di Ragusa Giuseppe Gammino sta organizzando partenze per altri centri anche in considerazione del fatto sono appena sbarcate altre centinaia di persone.
BILANCIO ATTIVITA’ POLIZIA GIUDIZIARIA
Sino ad oggi, solo nel 2014 sono stati arrestati 66 scafisti dalla Polizia Giudiziaria a Pozzallo e sono in corso numerose attività di collaborazione tra le Squadre Mobili siciliane (coordinate dal Servizio Centrale Operativo) al fine di permettere scambi informativi utili per gestire indagini sul traffico di migranti dalle coste libiche a quelle Italiane.
Sabato scorso è avvenuto l’incidente probatorio dello sbarco del 1° luglio dove purtroppo hanno perso la vita 45 migranti. Davanti al Giudice i testimoni hanno indicato gli scafisti riconoscendoli senza ombra di dubbio nonostante fossero stati affiancati ad altri cittadini extracomunitari simili. La ricognizione di persone è un elemento fondamentale per cristallizzare la prova del riconoscimento da parte dei testimoni, elemento che permette all’Autorità Giudiziaria di far permanere in carcere fino alla celebrazione del processo gli autori del reato di favoreggiamento e della morte come conseguenza di altro delitto dei 45 giovani migranti, alcuni dei quali minori d’età.