Pare che uno dei motivi più determinanti nei comportamenti deviati di un adulto sia l’abbandono nell’età infantile. Il bambino trascurato ha maggiori possibilità, in età adulta, di commettere dei reati o, comunque, di essere affetto da complessi che danneggiano se stesso e le persone che gli stanno accanto. A volte però, anzi nella maggior parte dei casi, il disagio resta chiuso nell’anima e non si riversa sulla società.
L’abbandono invece che affligge la nostra città è qualcosa di ben diverso. Forse meno grave perché ricade su cose inanimate, ma che inevitabilmente colpisce l’intera popolazione, sia sul piano economico che su quello della dignità cittadina.
Suona piuttosto patetico il progetto di trasformare l’unica arteria cittadina (peraltro abbondantemente deturpata da pessimi interventi edilizi nel corso del Novecento) in un salotto ad esclusivo uso dei pedoni, mentre lì accanto sopravvivono edifici fatiscenti in viuzze architettonicamente incontaminate ma invase dalla sporcizia, dai cattivi odori, dall’incuria e dall’indifferenza.
Oggi sembra sia concordemente riconosciuta la vocazione turistica di questa città. D’accordo, c’è il mare, anche se Marina di Modica non è propriamente Taormina o Capri o Portofino, pertanto non si può pretendere che la sola presenza del mare, che peraltro lambisce quasi per intero la nostra nazione, essendo essa una penisola, possa essere un’attrattiva tale da far approdare su questi lidi un turismo completo, quello cioè che non si limita a portare quattro soldi e mille disagi a noi indigeni, bensì molti soldi e disagi limitati. Dobbiamo inventarci qualcosa? Assolutamente no! Modica è talmente ricca di bellezza da non aver bisogno di organizzare sagre scopiazzate da altri paesi per invogliare gente di tutto il mondo a visitarla.
Del resto, un appuntamento c’è già ed è abbastanza importante: la festa della cioccolata. Qualche altra idea potrà anche nascere in futuro, purché non becera e sradicata dai nostri costumi, ma non è questo il momento di pensarci. Prima – adesso – il solo nostro pensiero dovrebbe essere quello di mostrare al visitatore tutte le bellezze che appartengono al nostro patrimonio storico-architettonico. Invece che facciamo? Insistiamo nel concetto di stravolgere la fisionomia di un agglomerato particolarissimo, diverso dalla maggior parte delle città italiane, proseguendo nell’opera iniziata col coprire il fiume che l’attraversa con una colata di cemento e dare vita al Corso Umberto.
Che si sarà risposto all’epoca a coloro che avrebbero voluto che Modica restasse quella “Venezia del sud” decantata nell’Enciclopedia Treccani? Certamente che occorreva una strada veloce per percorrere la città da un capo all’altro, senza perdersi nei dedali di viuzze strette persino per i carretti. La motivazione avrà sicuramente convinto anche i più riottosi perché assolutamente logica e intelligente. Oggi la vogliamo richiudere, in modo che la circolazione nel resto dell’abitato diventi più complicata, che un’ambulanza non arrivi in tempo per soccorrere un paziente (siamo troppi? occorre sfoltire la popolazione?), che la città storica si vada mano mano svuotando per concreta impossibilità di sopravviverci in modo confortevole e la popolazione migri sempre di più verso la periferia anonima.
Intanto, nascosto dai palazzi più moderni che s’affacciano sul Corso Umberto, il barocco magico e prezioso giace nell’abbandono e si va sgretolando, muore, ucciso dall’indifferenza, dalla superficialità, dall’insipienza degli eredi immeritevoli di una civiltà di bellezza. (Nella foto: Jan de Bray, La cura degli orfani 1675)