“Avevo sei anni. Cominciarono a dipingermi le mani e non sapevo perché. Su, mi disse la mamma, andiamo. Dove mi portate? Stavano per sposarmi…” racconta Tahani bimba sposa di Hajjah, tra le montagne dello Yemen.
L’attuazione del principio di non discriminazione, affermato dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia all’articolo 2, va riferita a molteplici fattori, tra cui il genere che continua a costituire un elemento fondamentale di disparità, di cui fanno le spese, in varia misura, le bambine di tutto il mondo.
Le donne hanno un’influenza enorme sul benessere delle famiglie e delle società. Tuttavia, il loro potenziale non si realizza pienamente a causa di norme sociali e economiche che le discriminano, e di ostacoli giuridici che le impediscono di agire.
Anche se lo status delle donne è migliorato negli ultimi decenni, le disuguaglianze di genere sono ancora diffuse: ai tassi correnti l’uguaglianza di genere nell’istruzione non sarà ottenuta fino al 2025 – 20 anni dopo l’obiettivo fissato dagli Obiettivi di Sviluppo del Millennio.
In molte parti del mondo essere femmine significa letteralmente rischiare la vita. Fra Asia meridionale, Nord Africa, Medio Oriente e Cina sono 100 milioni le bambine che “mancano all’appello”: in base all’andamento demografico normale, infatti, il numero delle persone di sesso femminile dovrebbe essere molto superiore a quello che si riscontra in realtà. La demografia è una scienza esatta che coglie sempre nel segno, la media mondiale delle nascite è di cento femmine contro centosette maschi, in Cina nascono centoventidue maschi, in alcune province come il Guandong, addirittura centotrentotto, contro cento femmine.
Cosa succede, allora? Sostanzialmente, nei primissimi anni di vita muoiono più femmine che maschi. E questo nonostante il tasso naturale di sopravvivenza sia a favore delle femmine, più robuste e resistenti alla nascita.
Si stima che nei paesi in via di sviluppo ben 450 milioni di donne siano affette da rachitismo come risultato della malnutrizione e della carenza di proteine sopportata nell’infanzia.
A questo si aggiungono atteggiamenti e pratiche tradizionali come la mutilazione genitale femminile, i matrimoni precoci per le bambine e le adolescenti, la violenza contro le donne, lo sfruttamento sessuale, la discriminazione di genere nella distribuzione del cibo, e altre pratiche discriminatorie legate alla salute e al benessere. Tutto ciò determina il raggiungimento dell’età adulta da parte dei bambini in numero maggiore rispetto alle bambine.
Tuttavia a milioni di bambine viene ancora negata l’istruzione di base: se il divario di genere nella scuola primaria diminuisce a livello globale, in molte parti del mondo continua invece a crescere.
Le mutilazioni dei genitali femminili (MGF) ad esempio, sono una pratica tradizionale presente in 27 paesi dell’Africa Sub-sahariana e in Egitto, in una certa misura in certe parti della penisola araba come lo Yemen e l’Oman, e certe regioni dell’Estremo Oriente. Di fatto, l’emigrazione delle popolazioni di queste zone verso i paesi industrializzati fa sì che ne siano coinvolti ora anche l’Europa, gli Stati Uniti, il Canada, così come l’Australia e la Nuova Zelanda.
Le azioni di sostegno al minore e ai componenti della famiglia, pertanto, al fine di realizzare un’efficace azione di prevenzione delle situazioni di crisi e di rischio psico-sociale anche mediante il potenziamento di servizi di rete per interventi domiciliari, diurni, educativi territoriali, di sostegno alla frequenza scolastica e per quelli di pronto intervento.
Un altro importante passo avanti deve essere l’accoglienza temporanea di minori, sieropositivi, e portatori di handicap fisico, psichico e sensoriale, in piccole comunità educativo-riabilitative.
Gli interventi dovrebbero prevedere la realizzazione di case di accoglienza per donne in difficoltà con figli minori, o in stato di gravidanza, nonché la promozione da parte di famiglie di accoglienze per genitori unici esercenti la potestà con figli minori al seguito.
Gli interventi dovrebbero fornire prevenzione e assistenza nei casi di abuso o di sfruttamento sessuale, di abbandono, di maltrattamento e di violenza sui minori attraverso il sostegno e lo sviluppo di servizi volti a promuovere e a valorizzare la partecipazione dei minori a livello propositivo, decisionale e gestionale in esperienze aggregative, nonché occasioni di riflessione su temi rilevanti per la convivenza civile e lo sviluppo delle capacità di socializzazione e di inserimento nella scuola, nella vita aggregativa e familiare.
Uno degli effetti esterni necessari per le bambine è l’istruzione: le bimbe che vanno a scuola sono meglio preparate a difendersi dalle malattie, corrono meno rischi di restare vittime di trafficanti o sfruttatori e sono meno esposte alla violenza. Le ragazze istruite si sposano più tardi, hanno meno figli, cercano l’assistenza sanitaria per sé e per i figli, forniscono migliori livelli di cure e protezione a sé e per ai figli. Ogni anno d’istruzione materna in più determina una riduzione dal 5 al 10% del tasso di mortalità dei bambini al di sotto dei cinque anni.
L’istruzione è una via di salvezza in molti di questi paesi, specialmente quando si tratta delle bambine. Una bambina esclusa dalla scuola ha meno possibilità di creare una famiglia sana.
Eppure per la cultura tradizionale di molti paesi le femmine sono solo un peso. Le bambine devono essere mantenute per poi diventare una “proprietà” della famiglia del marito. Non solo, inoltre, non portano reddito alla famiglia ma il pagamento di una dote spesso onerosa può ridurre in rovina la famiglia.
Per molte ragazze il matrimonio è adombrato dalla paura e dall’incertezza. La decisione è presa per loro conto e spesso ne vengono informate poco prima del giorno delle nozze. Dopo la cerimonia, la ragazza deve di norma trasferirsi a casa del marito, a volte in un altro villaggio, lontano dai genitori e dall’ambiente familiare, dove riceve forti pressioni perché abbia dei figli. Queste donne di solito, descrivono la loro prima esperienza coniugale come disgustosa o dolorosa e frequentemente parlano di uso della forza.
Forzare delle bambine al matrimonio in giovane età può essere fisicamente e moralmente dannoso poiché viola i loro diritti alla crescita e soprattutto alla libertà personale. Sinora eppure, non si è mai considerato il matrimonio precoce come una violazione dei diritti umani in sé e per sé.
Il passo deve essere necessario se si vogliono cambiare le cose nella direzione di milioni di bambine, costrette a subire la segregazione in una vita di miseria e sofferenze.
C.L.G.