Tanto tuonò … che piovve! Mi pare un incipit adeguato per commentare le elezioni amministrative di domenica scorsa, anche se una analisi serena del voto deve tenere in considerazione una molteplicità di condizioni molto variegate.
Ovviamente, parlando di elezioni amministrative, il tutto sconta problematiche connesse a situazioni locali, alla scelta dei candidati, alle modalità della loro selezione, ai rapporti in loco dei vari partiti, pertanto le considerazioni possono solo essere generali e di tendenza.
La prima riflessione riguarda il significativo arretramento del centrodestra.
Le cause di questo fenomeno, a mio avviso, sono tante e concomitanti:
1) cominciando da quella tecnica e più oggettiva, la rottura dell’alleanza PDL–Lega ha reso molto più fragili le posizioni del centrodestra, soprattutto al nord, nel confronto con il centrosinistra che pur con posizioni diversificate rispetto al governo nazionale ha sostanzialmente mantenuto una unità di fondo rispetto all’alleanza di Vasto (PD-SEL-IDV) in alcune realtà anche allargata al centro.
2) Non c’è dubbio che l’elettorato della Lega infatti era costituito da una quota di elettori “antisistemici” che hanno constatato negli anni di governo e soprattutto sulla scorta della triste vicenda “Belsito-The Family” una omologazione della Lega alla politica “romana” cosa che li ha fatti rifugiare nell’astenzionismo o migrare verso interlocutori politici ritenuti più “puri”.
3) Il PDL senza ombra di dubbio ha subito un significativo contraccolpo dovuto all’abbandono repentino delle leve di potere e alla perdita di smalto della figura del “leader maximo”, ma secondo me un elemento determinante nella perdita del consenso è stato il “tradimento” di quell’elettorato che aveva scelto il PDL illuso dalla promessa della decurtazione delle tasse, rassicurato da una certa complice benevolenza verso gli elusori e gli evasori (in quanto “necessitati” dalla forte pressione fiscale), lusingato dalla prospettiva di legislazioni sempre più lasche rispetto ai reati societari e sempre più penalizzanti dei lavoratori dipendenti. Questo elettorato ha sicuramente ingoiato malvolentieri il rospo del sostegno a Monti, ma certo non ha potuto reggere la minipatrimoniale sulla ricchezza mobiliare, la retromarcia sull’art. 18, e soprattutto la campagna “intimidatoria” del rigorismo fiscale …
Una riflessione non può non riguardare il terzo polo che, oltre ad avere compiuto l’errore strategico di non essersi presentato uniformemente compatto, ha perseverato nella strategia di non compiere una chiara scelta di campo in una competizione elettorale in cui il sistema prevede comunque la costituzione di aggregazioni, nella speranza (andata delusa) di intercettare il voto in uscita dalla Lega e dal PDL.
E allora, se nelle condizioni ottimali il terzo polo non è riuscito ad attrarre il voto dei “moderati”, quale è la prospettiva per il futuro?
Lo spazio temporale si restringe, tra un anno si vota per le politiche, della riforma elettorale non si intravede all’orizzonte nessuna prospettiva, quali scelte opererà il terzo polo?
Tentare di insidiare la leadership nel centrodestra, lasciarsi coinvolgere dal centrosinistra nella gestione del dopo-Monti o continuare nella scelta delle “mani libere”?
Passando al centrosinistra tutti gli osservatori hanno evidenziato una sostanziale tenuta delle posizioni … capisco che in un mondo di ciechi sono beati i monocoli, ma è una condizione positiva per chi si propone di gestire il dopo-Monti?
Avere “tenuto la posizione” in presenza di un calo dei votanti significativo, e peraltro contenuto dal tipo di consultazione che essendo comunali fruiscono dell’effetto traino di migliaia di candidati (fattore che alle politiche, consultazione molto più “ideologica”, non sarà presente), e nella generale “sconfessione” del sistema partitico, rappresenta una criticità cui il centrosinistra deve porre subito rimedio.
Il dopo-Monti non sarà una passeggiata, per assumere la guida del Paese in un momento così delicato non può bastare un sostegno tiepido e “condizionato” della base elettorale, è necessaria un’adesione convinta che in atto non si evidenzia.
Il Paese non si può permettere un altro 2006, una maggioranza risicata e sostanzialmente impossibilitata a compiere scelte coraggiose e importanti.
Il problema non è tanto nel merito delle questioni: le elezioni francesi dimostrano che i cittadini sono disposti ad affrontare le difficoltà economiche se sono rassicurati in merito all’equità nella distribuzione dei sacrifici e se hanno la certezza che chi li guida li indirizza comunque verso una prospettiva di crescita e di sviluppo; quindi il centrosinistra avrebbe tutte le carte in regola per acquisire il mandato elettorale in un momento in cui la “fiducia nel mercato” è a zero e in cui le politiche di rigore vengono percepite come possibili solo se mitigate da prospettive di crescita.
Il problema è di fiducia nella classe dirigente attuale che viene percepita come troppo focalizzata sulla propria conservazione e sulla difesa dello status acquisito e impegnata più a resistere al fisiologico ricambio generazionale che ad operare scelte lucide di crescita e rigore nell’interesse collettivo.
Ed eccoci al “fenomeno” Movimento 5 Stelle: premetto che pur essendo un figlio degli anni ’60, quindi educato all’impegno e alla militanza nei partiti, provo una istintiva simpatia per la freschezza, la carica di idealità che riscontro in questi giovani, un po’ meno “fresco e ideale” mi appare il loro ispiratore; ma i “movimenti”, per loro stessa natura, a mio avviso, vanno “guardati dal basso” e non dall’alto!
C’è chi parla di boom, chi non l’ha sentito, noi al sud per esempio abbiamo sentito solo l’eco, al nord invece il boom c’è stato, ma è tutto assolutamente normale e oserei dire prevedibile.
Essendo un movimento è ovvio che si manifesti in modo non omogeneo, che si confronti con le diverse grammatiche in cui si coniuga la politica nell’ambito del territorio nazionale, che esploda in modo più appariscente in città in cui il malgoverno (vedi Parma) o le lotte fratricide nei partiti (vedi Genova) o la delusione per i sedicenti “puri” (vedi “padania”) hanno stimolato la nausea per il sistema politico “canonico”, che sia meno appariscente invece in realtà in cui il “controllo feudale” dei signorotti della politica incarnato nel familismo clientelare crei condizioni di maggior legame con i quadri dirigenti dei partiti.
L’analisi del target elettorale del Movimento evidenzia che si tratta prevalentemente di giovani, con buona dimestichezza con gli strumenti informatici e il mondo del web, con alle spalle esperienze di uno o più turni di astensionismo.
Sono convinto che il Movimento 5 Stelle (non mi piace chiamarli “grillini” perché credo che non si renda giustizia all’ansia di novità che li anima e che li rende migliori del loro “leader” – e credo che questa contraddizione non tarderà ad emergere), non avrebbe avuto la carica che ha assunto se i partiti fossero stati permeabili alle istanze di idealità e di purezza di cui i giovani sono portatori e che non trovano rappresentanza nel paternalismo auto-conservativo che oggi contraddistingue i partiti.
A bocce ferme il fenomeno, secondo me, è destinato all’incremento perché costituisce una alternativa alla tentazione di abbandono dell’urna elettorale che sento crescere, stà alla sensibilità e all’abilità dei partiti riuscire nell’anno che ci separa dalle elezioni a riguadagnare credibilità aumentando la disponibilità al cambiamento.