LE RIFLESSIONI DEL DIRETTORE STIMOLANO ALTRE RIFLESSIONI

Raccogliendo un sentimento diffuso quanto sottaciuto, Franco Portelli, direttore di RagusaOggi, ha firmato negli ultimi giorni una serie di articoli che prendono spunto dal fatto che sopra casa sua, in contrada Tribastone-Magazzinazzi (che per i ragusani è – da circa trentanni – “Poggio del Sole”, ma per gli antichi come Hicsuntleones rimane col toponimo originario, vecchio di secoli) puntuali, ogni notte, passano altissimi i bombardieri della coalizione che vanno in Libia, presumibilmente a sganciare bombe finalizzate ad abbattere, coi muri e le case, anche il regime del colonnello Gheddafi, già intimo amico e collaboratore dell’Italia.

La riflessione del Direttore stimola anche quella di chi firma, seppure con uno pseudonimo, che ovviamente sottoscrive in toto quanto scritto da Portelli, ed aggiunge un pensiero a margine, intorno alla guerra e alle sue inevitabili conseguenze.

Nelle serate d’estate, quando il caldo (ma a memoria recente una estate così fredda non si registrava da molti anni) e il limoncello agevolano le riunioni tra amici e familiari, si parla sempre del più e del meno. Certamente dipende dalla composizione della comitiva che partecipa alla discussione: stare a tavola con i compagni di classe di trenta o quaranta anni fa significa – di norma – ricordare i professori, la bonazza di turno che non la dava a nessuno, il cretino della classe che faceva le imitazioni. A tavola coi colleghi si parlerà sempre di lavoro e annessi, nonostante le lamentale delle moglie/mariti che si annoiano a morte. Con i conoscenti, o peggio, con chi si conosce proprio in occasione della cena, i discorsi sono i più disparati (ma in questa maniera sono nati grandi amori e stabili matrimoni vecchi di decenni). Di recente, parlando con amici e amici di amici, quindi nella condizione migliore per affrontare – dopo la mezzanotte e il cocomero (per i viddani) e il melone (per i raffinati) – ogni possibile argomento, ci si è trovati a dire ciascuno la propria su quel sordo rumore che ci sovrastava. Tutti a chiedersi come sia possibile che una guerra è in corso a pochi chilometri dalle nostre coste ma nessuno ne parla (del resto, di questi tempi, è naturale parlare dell’abbronzatura e delle vacanze dei vip, e peccato che alcuni pazzi che stanno rivoltando i mercati costringano Minzolini & C. a parlare anche di borsa e di tasse, di manovra e di prelievi). Dalla guerra in Libia si è poi passati alla guerra in Libia, ma quella di cento anni fa (anche questo è strano: sono trascorsi esattamente cento anni dall’inizio della guerra italiana per la conquista della Libia ma non si è sentito – fatto salvo nostro errore – alcun titolo, pensiero, dibattito. Mah.) e di guerra in guerra fino alla più spaventosa: la seconda guerra mondiale.

Ci siamo accorti, quelli attorno al tavolo con i residui di calamari, riso nero e torta Savoia (attenzione, quella gelato si intende, novità di una celeberrima pasticceria ragusana) a discutere del fatto che si fosse tutti – tutti quelli presenti – nati dopo il conflitto. Anche solo pochi anni dopo, ma certamente dopo le sirene antiaeree, dopo i razionamenti del cibo, dopo i dispersi in Russia, dopo Hiroshima e Nagasaki. Una gran bella fortuna, il commento più ricorrente. Una fortuna creata dai nostri progenitori che, nonostante i loro governanti dell’epoca fossero pazzi più ancora di questi che dobbiamo sorbirci noi (questi stanno distruggendo il Paese, ma almeno non ci mandano, noi e i nostri figli, a combattere un paese per spezzare le reni a dei poveri cristi) riuscirono a rimediare e soprattutto a ricostruire dalle macerie, letteralmente.

Ci siamo accorti, guardandoci negli occhi, che chi ci ha preceduto, e – se ancora vivo – ha ancora negli occhi gli orrori della guerra, ha scavato e sudato, lavorato e combattuto per avere libertà, pace e giustizia, e che chi ci segue, ha negli occhi solo videogiochi, alcol e culto della disonestà. Che il vulnus sia proprio in quelli che non hanno visto la guerra e non appezzano la pace? Che a rompere le palle ai posteri siamo noi, proprio noi, quelli che abbiamo trovato il piatto amministrato e non ci siamo accorti che quel piatto che stavamo ripulendo senza nel frattempo preparare qualcosa altro da mangiare per noi ma soprattutto per quelli dopo di noi?

La discussione è stata troncata dal rombo, alto, sordo, di aerei che vanno a Tripoli, bel suol d’amore.