LEGAMBIENTE LANCIA L’ALLARME PER LE TRIVELLE PETROLIFERE

La società Irminio srl di proprietà della società “Sviluppo Risorse Naturali srl” con sede a Roma, a sua volta controllata dalla Mediterranean Resources LLC con sede in Austin (Texas-USA), ha chiesto all’Assessorato all’Industria della Regione Siciliana il permesso di ricercare petrolio e gas nel territorio di Scicli su una estensione di 9.600 ettari. La stessa società ha già ottenuto il permesso di ricerca dal Ministero dell’Industria per tutto lo specchio di mare davanti alla costa sciclitana  a partire dalla battigia fino ad una distanza di 20 km dalla costa. Tale permesso è al momento sottoposto a procedura di VIA avverso al quale, Legambiente e la Provincia di Ragusa hanno presentato osservazioni. La richiesta di permesso di ricerca a terra interessa un’area all’interno di un poligono irregolare avente i suoi vertici in: Contrada Mangiagesso ( km 7 S.P. 94 ) Contrada Milocca (km 6 S.P. 54) Contrada Fami Giurgia ( traversa della S.P. 122 ) Contrada Pisciotto presso i ruderi della fornace Penna L’incrocio fra via Cernia e Viale della Repubblica a Donnalucata Contrada Dammusi ( 500 m dalla S.P. 89 ). Con tali ricerche si corre il rischio concreto  di trovarci tra qualche anno con decine di piattaforme petrolifere davanti alla costa e pozzi petroliferi lungo la costa, con buona pace di tutti i progetti di sviluppo turistico. Si tratta di una decisione presa dall’alto, scavalcando i comuni e la provincia, che ipoteca un modello di sviluppo basato sull’agricoltura di qualità e il turismo. Che succederebbe alla nostra economia se ci fosse una perdita di petrolio in mare e il greggio raggiungesse la costa? Che fine farebbero i nostri pescatori? Che succederebbe ai nostri prodotti agricoli se ci fosse un incidente come quello di un mese fa lungo il Fiume Tellaro? E’ questo il modello di sviluppo che il comune di Scicli vuole? Riteniamo opportuno e urgente che il comune di Scicli intervenga presso l’Assessorato all’Industria della Regione Siciliana per chiedere che sia respinta l’istanza di ricerca di idrocarburi presentata dalla società “Irminio srl”. L’attività di ricerca, ma soprattutto di estrazione comportano non pochi rischi ambientali. Il nostro petrolio è di cattiva qualità: è bituminoso, ha un alto grado di idrocarburi pesanti, è ricco di zolfo. Il prodotto di scarto più pericoloso è l’idrogeno solforato, dagli effetti letali sulla salute umana anche a piccole dosi. L’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda di non superare 0.005 parti per milione (ppm), mentre in Italia il limite massimo previsto dalla legge è pari a 30 ppm: ben 6000 volte di più. In mare addirittura non ci sono limiti in Italia.  A completare il quadro del’impatto ambientale ci sono i “fluidi e fanghi perforanti” usati per portare in superficie i detriti. Sono fanghi tossici e difficili da smaltire: contengono tracce di cadmio, cromo, bario, arsenico, mercurio, piombo, zinco e rame. Questi elementi pesanti sono nocivi e si accumulano nel corpo del pesce che mangiamo.