LETTERATURA TEATRALE DELL’EUROPA BAROCCA

Il Seicento è stato spesso definito il secolo del teatro per eccellenza. Infatti la società barocca europea e italiana fu spettacolare in ogni manifestazione, sia civile, che architettonica, artistica e musicale.

Tra i generi letterari in uso, soprattutto l’epica, l’oratoria sacra e il romanzo, erano caratterizzati dal gesto  eccessivo e dalla magniloquente declamazione, ma l’idea della realtà come rappresentazione e il bisogno di catturare l’attenzione del pubblico, sono ben presenti anche nella lirica. Attraverso diffuse metafore imperniate sul “teatro” e sulla “scena” comuni alla saggistica, la letteratura secentesca fa proprio il senso della recita e della rappresentazione illusoria che la nuova arte della scenografia applica a ogni aspetto della  vita religiosa e principesca.

Per quanto riguarda il vero e proprio teatro barocco, esso affonda le  sue radici nella tradizione italiana cinquecentesca, sia colta che popolare, ma ha sviluppi diversi tra le nazioni. Mentre in Spagna, in Francia e Inghilterra si afferma, come strumento di satira e di riflessione, a opera di poeti e scrittori del calibro di Shakespeare, Racine, Corneille, Lope de Vega, Calderon de la Barca e Tirso de Molina, in Italia resta una forma tipicamente letteraria, senza nessuna concreta esperienza di palcoscenico e riscontro di pubblico. Ma pur così povera di teatro, l’Italia seppe proporre all’Europa tre generi nuovi: la “favola pastorale” e quella “per musica” (poi melodramma) e la “Commedia dell’arte”.

Come si diceva, già negli ultimi decenni del Cinquecento, in Italia  si avvertiva una diffusa insofferenza per le tragedie e le commedie classicheggianti, legate alla Poetica aristotelica (per esempio la divisione in cinque atti o, il rispetto delle unità di tempo, luogo e azione). Allestite da attori non professionisti su ribalte provvisorie, sono costituite da testi puramente letterari, destinati a uno scarsissimo successo di pubblico.

A cavallo del secolo  appaiono però alcuni generi nuovi, munito da  elaborate scenografie e inframmezzate da musica e balletto, destinati soprattutto per il divertimento delle corti e a carnevali,  feste e matrimoni principeschi.

Primo tra tutti, la favola pastorale, nata dalla passione umanistica per i travestimenti bucolici.

Affacciatasi nell’Italia settentrionale  poco dopo la metà del Cinquecento, grazie all’esempio dell’Aminta di  Torquato Tasso, la favola pastorale anticipò la favola in musica (la prima  conosciuta  è Dafne di Ottavio Rinuccini del 1594), e il melodramma settecentesco. Va detto che Il Pastor fido (1590) di Battista Guarini, divulgherà oltralpe il genere della tragicommedia pastorale, una sorta di ibrido diventato popolarissimo nella prima metà del Seicento.

A partire dalla metà del Cinquecento si diffonde in Italia e di qui in Europa, la Commedia dell’arte ideata e recitata da comici di mestiere (arte). Queste compagnie di attori girovaghi, (che erano spesso avventurieri, guitti e lestofanti messi al bando dalla Chiesa e dalla morale pubblica) recitavano, accanto a un repertorio letterario tradizionale, farse improvvisate i cui interpreti sono tipi ( o maschere fisse) facilmente riconoscibili dai tratti esteriori (il servo sciocco, furbo o imbroglione, i vecchi pedanti,  le servette innamorate).

In questi spettacoli, fondati su scenari, o canovacci, la parola ha una funzione assolutamente subalterna rispetto al gesto, alla mimica e al lazzo. Tutto è affidato all’abilità dell’attore, che improvvisa sulla base di un testo appena sbozzato. La Commedia dell’arte ebbe grande influsso sui maggiori scrittori del teatro europeo, da Lope de Vega, a Shakespeare e a Molière. Esportato in Francia, in Spagna e in Inghilterra dalle compagnie dei Gelosi, dei Fedeli, degli Accesi e dei Confidenti, con attori celebri come Tristano e Drusiano Martinelli il teatro dell’arte si svolse per oltre tre secoli: La Comédie Italienne di Parigi durerà con questa denominazione dalla metà del Seicento fino ai primi dell’Ottocento. Però contro questo teatro profano ben presto si schierò l’opposizione religiosa, sia cattolica che protestante. Negli ultimi anni del Cinquecento, l’arcivescovo di Milano Carlo Borromeo mise al bando i teatranti, accusati di corruzione, mentre in Inghilterra risale al 1642 il famoso decreto puritano che interdisse ogni attività teatrale in nome della morale, dell’ordine pubblico e dell’igiene.