La validità di un provvedimento ottenuto per decreto legge, da un governo nominato e non eletto democraticamente, il punto cardine del dibattito acceso dal consiglio provinciale aperto.
“Non difendiamo la poltrona – evidenzia in apertura il Presidente del Consiglio provinciale Giovanni Occhipinti –, siamo tra l’altro in scadenza di mandato, ma il principio democratico. Con queste norme si colpisce principalmente il cittadino, il quale non potrà più scegliere il proprio rappresentante di un ente di area vasta”.
La semplificazione istituzionale, la riorganizzazione delle competenze, la razionalizzazione dei costi sono le giuste direzioni da seguire, ma il modus operandi è assolutamente sbagliato sia dal punto di vista dell’analisi costi – benefici, sia per il principio istituzionale democratico. Queste le conclusioni dell’Upi, sintetizzate in un ordine del giorno che in tutte le province è stato discusso contemporaneamente. A Ragusa è stato approvato con soli due voti contrari, dei consiglieri Roccuzzo e Iacono.
“Onestamente pensavo fosse un evento più partecipato – esordisce il Presidente Franco Antoci, tra l’altro vice presidente Upi – ma la presenza di alcuni sindaci e rappresentanti di categoria ci supporta nella battaglia che portiamo avanti per l’intero territorio. La stessa identità della nazione è legata alle Province – chiarisce Antoci – quindi pensare ad una Italia senza questi enti appare piuttosto improbabile perchè su questa architettura istituzionale è stato fondato il nostro stato, con le prefetture e gli enti periferici atti alla migliore gestione del territorio. Questa riforma viene dichiarata necessaria per abbattere i costi della politica ma le analisi evidenziano che essi gravano dell’ 1, 35 % sul bilancio. L’Upi ha evidenziato che una riforma delle province è auspicabile ma non l’abolizione di organi di governo di area vasta che finora hanno garantito l’equità di finanziamenti. In Sicilia inoltre il governo Lombardo intende favorire la costituzione dei consorzi che genererà un braccio di ferro campanilistico. Si parla di consorzi che abbiamo almeno 10 comuni e 250.000 abitanti, con queste restrizioni ne potranno nascere anche 20! Altro che riduzione dei costi. E questi consorzi come si configureranno con il territorio e la sua identità?
Stato deve risparmiare ma in modo razionale – conclude Antoci – ma si stabiliscano dei criteri che conservino l’architettura istituzionale delle province, magari riorganizzando le competenze. Razionalizziamo le risorse abolendo Enti come Ato, Asi, Iacp, Enti bonifica, e delegando le province a ricoprire tali compiti. Questo sì che frutterebbe notevoli risparmi”.
Significativi gli interventi dei pochi sindaci presenti, Schembari, Nicosia, Lia, che mettono in luce la fragilità del provvedimento che non chiarisce in che modo verranno assolti i compiti di pertinenza provinciale, prefigurando il caos istituzionale.
“Il punto fondamentale che ci unisce nella protesta – chiarisce il consigliere Angela Barone – è la scellerata volontà di modificare l’amministrazione provinciale, prevista dalla Costituzione Italiana, in un ente non più democraticamente eletto, seguendo tra l’altro un iter procedurale diverso dalla legge di revisione costituzionale”.
La prospettiva della creazione di enti di area vasta che sostituiscano le attuali province, i cui componenti vengano nominati tramite elezioni di secondo livello, scontenta infatti tutti i partiti politici presenti in consiglio, ad eccezione di Mpa, rappresentato dal consigliere Roccuzzo. Discorso a parte per Idv, favorevole all’abolizione delle province ma non come atto isolato e ottenuto con un decreto legge, bensì come provvedimento all’interno di un quadro più ampio di riforma.