Il primo comizio dopo quasi otto anni. Dopo l’assoluzione, con formula piena, nel processo per corruzione elettorale, l’ex sindaco Giovanni Moscato, che ha guidato la città dal 2016 al 2018, è tornato ieri in piazza per dire la sua verità. Con lui c’erano i due parlamentari, Giorgio Assenza e Salvatore Sallemi e i consiglieri comunali di Fratelli d’Italia e Diventerà Bellissima.
Moscato ha parlato brevemente della sua vicenda politica e giudiziaria, che ha coinvolto sia lui, sia il suo predecessore Giuseppe Nicosia. Lui era un mio oppositore e io non ho mai fatto sconti a nessuno – ha detto Moscato – ma lui come me, in questi otto anni, nelle sedi giudiziarie ha difeso non solo se stesso, ma ha difeso la città da un’infamità, da una vergogna che tutti noi abbiamo subito”. La folla ha applaudito l’ex sindaco Nicosia, anch’egli presente nella piazza.
Le vicende che portarono allo scioglimento. “Il prefetto mi disse: ‘Sindaco proroghi’”
Poi ha cercato di spiegare cosa fosse accaduto, con l’accusa di correzione elettorale che – ha spiegato – non costituisce comunque motivo che porta allo scioglimento. A Giovanni Moscato è stato contestato che egli, nove giorni dopo del suo insediamento, avesse prorogato, l’ordinanza per permettere la continuazione del servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani, in scadenza il 30 giugno. Secondo la procura questo sarebbe avvenuto per permettere la stabilizzazione di alcuni operai della ditta che gestiva la raccolta dei rifiuti, sulla base di un accordo e di uno scambio elettorale. “L’accordo con Nicosia fa ridere da se. Io mi sono insediato il 21 giugno e non potevo fare una gara in nove giorni. Ma i rifiuti devono essere raccolti. Andammo dal Prefetto, insieme a Giorgio Assenza. Il Prefetto ci disse: “Sindaco, proroghi l’ordinanza e prosegua con la gara. E così facemmo. E dopo soli tre mesi facemmo, per la prima volta a Vittoria, una gara pubblica che prevedeva anche la raccolta differenziata. Non era mai accaduto in nessuna città italiana. E l”accordo elettorale si sarebbe configurato a causa della telefonata di uno dei dipendenti, preoccupato perché uno dei candidati sindaco diceva che avrebbe mandato tutti a casa. Mi telefonò preoccupato. Risposi che io avrei rispettato le leggi e i contratti dei lavoratori e non avrei mandato a casa nessuno. Questa semplice frase per chi condusse le inchieste divenne “corruzione elettorale”.
Le falle delle indagini: uno scambio di nomi tra Giovanni Moscato e Roberto Moscato
Poi Moscato ha ricordato l’episodio ormai noto del presunto incarico professionale ricevuto dal sindaco del tempo Giuseppe Nicosia. Si trattava di un errore, di uno scambio di nomi. L’incarico professionale era stato dato a Roberto Moscato, la legge vieta espressamente che un consigliere comunale possa ricevere un incarico professionale. Eppure le indagini della Guardia di Finanza affermarono che Giovanni Moscato aveva ricevuto un incarico professionale, senza tener conto del fatto che esso era impossibile, vietato per legge e che il nome era un altro, appunto quello di Roberto Moscato. Venne portato come prova del pagamento il cedolino da consigliere comunale, che ammonta a 35 euro a seduta. Tale pagamento, per errore, venne scambiato con quello del pagamento per l’incarico professionale.
Moscato ha poi ripercorso la storia difficile di questi anni, la sua scelta di restare in silenzio, di non intervenire più nella scena pubblica, persino cambiando lavoro (oggi non esercita più come avvocato e lavora a Gela). Fino al giorno dell’assoluzione, l’8 marzo, che gli permette ora la possibilità di raccontare la sua verità.
L’ex sindaco ha ricordato anche il contesto in cui è maturato lo scioglimento del consiglio comunale che – a suo parere – aveva solo lo scopo di fermare una classe dirigente che aveva portato per la prima volta la destra al governo di Vittoria e una classe dirigente che avrebbe potuto guidare ancora a lungo la città. E ha inserito la vicenda del suo scioglimento in una fase politica che vedeva i 5 Stelle al governo.
Moscato ha espresso il suo rammarico per le scelte di Aiello, che più volte in questi anni li ha definiti “sciolti”, invitandolo a un confronto pubblico per dimostrare, ognuno con i documenti in suo possesso.