Mafia: estorsioni a ristoratore di Scoglitti, il pm chiede la condanna per tutti gli imputati

Formulate stamani le richieste di condanna in primo grado di giudizio, per il ‘gruppo’ ritenuto colpevole, per la pubblica accusa, di una serie di estorsioni e di una tentata estorsione messe in atto tra il 2014 e il 2020 ad un ristoratore di Scoglitti, con metodo mafioso. Davanti al Tribunale collegiale di Ragusa (pres. Frizilio, a latere Manenti e Rabini), il pubblico ministero della dda di Catania, Alfio Gabriele Fragalà, ha chiesto la condanna a 15 anni e 12.000 euro di multa ciascuno per GBattista Ventura e Rosario Nifosì; 16 anni e 14.000 euro di multa per Angelo Ventura (figlio di GBattista); 17 anni e 15.000 euro di multa per Massimo Melfi; 8 anni e 6.000 euro di multa per Marco Nuncibello per tentata estorsione.

Tutte le pene richieste sono aumentate per l’aggravante di essere state compiute con metodo mafioso e con recidiva. Le indagini vennero svolte dai carabinieri del Nucleo investigativo provinciale di Ragusa, con il coordinamento della Direzione distrettuale antimafia di Catania. L’ultimo atto, che non sarebbe stato portato a termine, risale al 2020 quando il ristoratore esasperato, ha trovato il coraggio di denunciare. Ma l’inizio dell’incubo per il ristoratore risalirebbe al 2014. Secondo quanto emerso da indagini e dal dibattimento, e riportato nella requisitoria dal pm, il tutto sarebbe iniziato quando GBattista Ventura (che il pm ricorda essere “già nel 2010 esponente di spicco dell’omonimo clan Ventura, articolazione dei Carbonaro Dominante appartenente alla stidda vittoriese”) ad agosto del 2014 si recò nel locale del ristoratore ed innescò una lite per futili motivi, che stava per trascendere. In quel frangente, ricostruisce la pubblica accusa, intervenne Melfi da ‘paciere’, facendo la “parte dell’amico buono” e in sostanza consigliando al ristoratore di dare a Ventura 1000 euro paventando il rischio che il locale venisse bruciato e che la sua famiglia potesse essere in pericolo. Il ristoratore pagò. Iniziò una “consuetudine” che si ripeteva ogni anno (tranne nel 2015 quando il locale era chiuso) a cavallo di Ferragosto e che vedeva come costante la presenza di Melfi, la richiesta di denaro accompagnata spesso da consumazioni non pagate e in ultimo giustificate dalla richiesta di fare fronte alle spese Covid e al sostegno del ‘gruppo’ e dei colloqui in carcere, “una molla per marcare l’effetto intimidatorio”.

Nel 2020 il commerciante non ne può più e chiama i carabinieri; 5 richieste estorsive in pochi giorni. L’ultima sarà una tentata estorsione con la cacciata prima di Nuncibello, mandato dal Melfi che attendeva in macchina e poi di Melfi stesso che era tornato dopo una decina di minuti. Il pubblico ministero ha ricostruito i singoli episodi inquadrando il processo definito “rapido e intenso”, con “materiale probatorio consistente e solido”, sottolineando l’attendibilità delle parti offese, moglie e marito, che si sono costituite parte civile nel processo assieme alla Rete per la Legalità Sicilia; “coerenza, convergenza, linearità nelle testimonianze”, nonostante “controesami pesanti” dei difensori degli imputati. Anticipando le difese, il rappresentante della pubblica accusa ha sostenuto che la tesi della richiesta di pagamento di somme dovute al Melfi per assistenza sanitaria al suocero del ristoratore, sarebbe una “versione incredibile e inconsistente”; se si fosse trattato di un credito lecito, la proposta di Melfi di una offerta risarcitoria alla parte civile in avvio di processo, non avrebbe avuto ragion d’essere.

L’udienza di oggi si era aperta infatti con le dichiarazioni spontanee di Melfi che ha sostenuto, nuovamente, di non aver fatto alcune estorsione ma di avere chiesto i soldi che il ristoratore gli doveva per servizi sanitari che lui stesso aveva reso al suocero del ristoratore. Melfi operava in una agenzia di pompe funebri e sosteneva di avere erogato delle prestazioni al suocero malato del ristoratore, che non gli vennero pagate. Durante il dibattimento sarebbe emersa la consuetudine in generale, da parte delle agenzie di offrire servizi nella “ragionevole aspettativa di potere celebrare il funerale” per rifarsi delle spese, aspettative, ha detto il pm che “comunque non generava pretese”. Il Pm ha smontato poi la ricostruzione del Melfi, fornendo elementi a contrasto di quanto affermato e dettagliando i singoli episodi contestati. Il 19 luglio la conclusione spetterà alle difese, prima della sentenza.

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