“Malattie infettive a Ragusa non scompare. Ci daremo da fare per riattivare la riorganizzazione del reparto, mantenendo qualche posto letto per l’emergenza oltre all’ambulatorio e alla consulenza”. Parola del direttore dell’Uoc di Malattie infettive del Maggiore di Modica e dell’ospedale Civile di Ragusa, Antonio Davì, a margine del secondo incontro del corso promosso dall’ufficio diocesano per la pastorale della salute teso a formare i volontari, tanto nella Pastorale della salute quanto nelle cappellanie ospedaliere, oltre ai ministri straordinari della comunione eucaristica. Davì, ieri pomeriggio, nella biblioteca dell’ospedale Civile, è intervenuto per affrontare l’approccio da tenere nei confronti di un malato migrante chiarendo, a proposito dell’accorpamento, che “l’atto aziendale dell’Asp 7 contempla l’allogazione di qualche posto letto supplementare a Modica. Ma il reparto di Ragusa non sarà soppresso e anzi fungerà da supporto a quello del Maggiore sulla base di una specifica rimodulazione”. Entrando nello specifico del tema, Davì ha snocciolato qualche dato riguardante le patologie infettive che hanno colpito gli immigrati curati nelle strutture sanitarie di competenza dell’Asp.
“Diremmo che in un anno – ha riferito – ci sono stati al massimo una quindicina di malati di tubercolosi, qualche caso di sieropositività all’Aids, di meningite e di malaria. Molti più casi, invece, per quanto riguarda la scabbia che va trattata in un modo specifico. In ogni caso, questi numeri sono assolutamente in media con le percentuali nazionali. Non c’è alcun allarmismo per l’area iblea. E tutto ciò nonostante gli arrivi a migliaia che si registrano di settimana in settimana”. Il dirigente dell’Uoc ha pure chiarito che, da quindici anni a questa parte, “abbiamo a che fare con una figura nuova, appunto quella di un paziente, il migrante, che sbarca con problemi e un vissuto personali differenti da quelli a cui siamo abituati, così come differente sono la religione, gli usi e i costumi. Tutto ciò deve portarci ad evitare, parlo in primo luogo degli operatori sanitari e quindi dei medici, lo stigma da parte nostra nei loro confronti. E ciò vale anche per la popolazione iblea che, leggendo sui media di casi di scabbia, di tubercolosi e quant’altro, resta profondamente colpita e ritiene che tutte le persone che arrivano con i barconi siano portatrici di infezioni, di malattie infettive. E invece non è così. La maggior parte di queste persone è assolutamente sana, eccezion fatta per le debilitazioni dovute al viaggio, fratture da cadute, qualche polmonite. Ecco perché la gestione del profilo del migrante coinvolge da un lato aspetti scientifici, dall’altro quelli umanitari. Altrimenti ne rischia di venire fuori uno scenario che coinvolge anche aspetti di tipo sociale. Non dobbiamo stigmatizzare la figura del migrante perché le ricadute possono essere negative pure per la nostra società”. “L’intervento del dott. Davì – ha concluso don Occhipinti – ci ha consentito di fare chiarezza su questioni di cruciale importanza, anche perché vissute sulla pelle di ciascuno di noi, sgombrando il campo da tutta una serie di luoghi comuni che non meritano neppure di essere presi in considerazione. Voglio sottolineare l’importanza del lavoro svolto dai medici di malattie infettive in un periodo storico molto delicato come quello attuale”.