Maria Schininà nacque il 10 Aprile 1844, sedici anni prima della definitiva caduta della monarchia borbonica , anni caratterizzati, specie in Sicilia e nel Siracusano, da misure di spietata repressione contro ogni richiesta di riforme .
La casta nobiliare viveva di rendita parassitaria, dedicandosi a frivole attività che permettessero di riempire il lento trascorrere del tempo.
Diversa, in questa piatta realtà, la famiglia in cui vide la luce Maria.
Il padre, Giambattista Schininà, era stato educato dai Gesuiti ed era profondamente religioso. La madre, Rosalia Arezzo, era stata educata dalle Suore Benedettine di Ragusa Ibla.
La prima fase dell’educazione di Maria venne affidata alle Sorelle Capodicasa che impartivano un rigido tirocinio imperniato sulla formazione religiosa.
In seguito, come per i suoi fratelli, l’istruzione di Maria venne affidata a Don Vincenzo Di Stefano, cappellano di famiglia ed istitutore.
Era quella degli Schininà l’unica famiglia di Ragusa che teneva in casa un sacerdote con queste mansioni.
A soli sei anni, mentre all’epoca l’età minima era dieci anni, Maria fece la Prima Comunione.
Alla luce delle nostre convinzioni possono essere discutibili i metodi educativi dell’epoca, può apparire limitata la cultura di base di Maria, al livello dell’attuale terza elementare, ma era una donna del suo tempo e come tale dobbiamo avvicinarla senza pregiudiziali ideologiche anacronistiche.
La vita femminile era regolata da inderogabili consuetudini, legate anzitutto al rango.
La sua giornata era scandita dalle pratiche religiose, dalle visite ai parenti, dai lavori femminili più delicati; Uniche evasioni in questa vita grigia, anche se esonerata dalle fatiche e privazioni di una giovane plebea, la musica e la ricercata eleganza nel vestire.
Diverse persone, tra cui una signora molto devota, e lo stesso Arcivescovo di Siracusa, riprovarono apertamente il suo attaccamento all’eleganza come non consono alla vita di pietà e alla pratica della carità cristiana.
Tutto ciò cominciò a provocare nella giovane uno stato di disagio e di profonda insoddisfazione da lei stessa descritto negli anni successivi con queste parole:
“Mentre il Mondo mi credeva felice e qualcuno chissà, forse anche mi invidiava, il mio cuore era immerso in una profonda amarezza. Tutto mi dava noia: il lusso, la musica, la società; e molto più mi riuscivano intollerabili i balli e le serate di una lunghezza senza fine.”
“La si vide di punto in bianco dimettere gli abiti eleganti ed estrosi che fino allora aveva portato, per indossare l’umile mantello e lo scialle delle donne del popolo, cambiare la vita brillante ed agiata per trasformarsi in un’umile penitente, dedita alla preghiera e ai poveri.”
Questo accadrà, in seguito agli esercizi spirituali predicati dai Gesuiti nella Chiesa di San Giovanni Battista e alla morte improvvisa del padre nel 1865.
La riprovazione tornava a colpirla: parenti, amici, e anche qualcuno dei fratelli, non esitavano a considerarla pazza, a definirla “la vergogna della famiglia” perché andava in giro coperta da abiti larghi e sgraziati come sacchi, attingeva al suo patrimonio per aiutare i bisognosi, si recava nei quartieri più poveri e malfamati ed entrava nei tuguri senza arretrare dinanzi alle situazioni più repellenti, pur di soccorrere gli ammalati, per i quali non c’era nessuna istituzione pubblica.
Non le mancò mai, comunque, la piena approvazione e l’appoggio della madre.
Ben presto il suo esempio venne seguito da altre giovani e la loro azione non si limitò alla carità ma si estese anche all’istruzione religiosa.
Importante fu il ruolo che Maria Schininà ebbe a fianco della parte più avanzata del clero ragusano nel promuovere un’intensa opera di catechesi. Basti pensare che nell’Ottocento la dottrina cristiana veniva impartita dai soli sacerdoti, unicamente durante la Quaresima, e nella sola Chiesa Madre.
Maria si adoperò per far sì che in tutte le chiese di Ragusa si facesse dottrina cristiana in vista della preparazione alla Prima Comunione dei fanciulli, e preparò il primo nucleo delle catechiste quando divenne, nel 1877, la prima direttrice della Pia Unione delle Figlie di Maria,.
Come la morte del padre segnò per Maria l’inizio di un mutamento radicale nella sua esistenza, così la morte della madre, avvenuta diciannove anni dopo, la spinse a prendere in considerazione l’idea di ritirarsi in un monastero di clausura.
Grazie alla guida di alcuni sacerdoti, in seguito si orientò verso il progetto di “una comunità dove anime consacrate a Dio si dedicassero interamente al servizio dei poveri per dare loro con la salute dei corpi, anche quella delle anime “
Il Vescovo di Siracusa, Mons. La Vecchia, informato di questo progetto, lo approvò e così Maria, con molta prudenza e con l’aiuto di un esperto in diritto canonico, cominciò a stendere un primo Statuto, fissando le finalità dell’Istituzione, che vedeva sottoposta all’Autorità del Vescovo.
Nell’Aprile del 1889 fu chiesta e ottenuta la benedizione sul nascente Istituto al Papa, quel grande Leone XIII, tanto sensibile alla dimensione caritativa e missionaria della Chiesa.
Le prime che informò del suo progetto erano cinque sue amiche che da anni facevano parte della Pia Unione delle Figlie di Maria.
Queste aderirono con entusiasmo.
Il 9 Maggio 1889 venne celebrata la consacrazione delle prime sei suore nella chiesa di S, Giovanni Battista.
“Dopo la vestizione e l’imposizione del nome le suore, in carrozza, scortate dal clero e dal popolo si recarono nel loro alloggio che non avrebbe potuto essere più povero e squallido.”(Si tratta dell’edificio definito “Convitto” sito in via Felicia Schininà).
La vita della nuova comunità iniziò all’insegna della povertà e del duro lavoro.
Il sostentamento era affidato a quel poco che rimaneva dei beni dotali della Fondatrice, alle collette che si facevano in chiesa ogni prima domenica del mese, alle offerte spontanee e alla questua.
La giornata delle suore cominciava alle quattro del mattino con la meditazione e la S. Messa, proseguiva con le visite a domicilio dei bisognosi, l’assistenza agli orfani e alle anziane ricoverate,(“le vecchierelle” come le chiamava Maria), il catechismo nelle Parrocchie, il lavoro manuale, e si concludeva con la preghiera davanti al tabernacolo.
Un anno dopo, il Papa Leone XIII riceveva la Fondatrice e le rivolgeva calde parole di incoraggiamento che la riempirono di entusiasmo.
Ben presto i locali che ospitavano le suore, le anziane e le orfanelle furono inadeguati e la Comunità si trasferì nei locali dell’Ospedale Sammito annesso alla Chiesa dei Cappuccini. In seguito Comune, proprietario dei locali, ingiunse lo sfratto, che venne revocato solo per un breve periodo, il tempo di realizzare parte della costruzione della Casa Madre.
La prima pietra fu posta il 15 Novembre del 1892 e certamente furono le insistenti preghiere della Fondatrice a consentire di ricevere gli aiuti necessari per rendere abitabile almeno un’ala dell’edificio.
Tre aspetti si possono cogliere leggendo le biografie della Beata Maria Schininà
Prima di tutto una grande fiducia nella Divina Provvidenza che si esprime nell’affidarsi totalmente a S. Giuseppe non solo per la salvezza delle anime ma anche per tutte le volte in cui nella Casa mancano l’olio, il carbone, la legna , i soldi per pagare i fornitori o gli artigiani. E il Santo non la deludeva
Un altro aspetto è l’amore per l’infanzia .Lei voleva per i piccoli il massimo Bene: avvicinarli a Gesù.
Lo faceva attraverso il catechismo che sapeva rendere attraente, lo faceva sostenendo la necessità di anticipare l’età della Prima Comunione.
Il giorno della Prima Comunione doveva, secondo lei, essere preceduto dagli Esercizi spirituali e celebrato con particolare solennità sia in Parrocchia sia in Famiglia.Ella stessa si prodigava per organizzare festicciole e trattenimenti per imprimere un carattere speciale alla cerimonia, cosa che a noi può apparire ovvia ma che non era nei costumi del tempo.
Infine va sottolineato un aspetto che non manca di stupirci.
Noi quando pensiamo ad una suora siamo portati a considerarla una donna che non può, non deve occuparsi di ciò che accade fuori dalla sua Comunità .
Suor Maria Schininà, invece, non era così, ma si recava dovunque fosse necessaria la sua presenza senza scrupoli o falsi pudori.
Si racconta del suo intervento per sedare una violenta lite scoppiata in seno ad una famiglia. Non la fecero arretrare le tremende bestemmie e i gesti sacrileghi dei contendenti e riuscì non solo a farli riconciliare, ma a farli accostare alla Confessione e all’Eucarestia.
Riuscì a far convertire, in punto di morte, un notaio che rifiutava i sacramenti.
Tra gli impegni della sua comunità volle l’assistenza ai carcerati, per i quali organizzò un corso di esercizi spirituali per prepararli alla confessione e alla comunione.
E’ notevole anche l’ospitalità e l’aiuto spirituale e materiale offerto ad alcuni superstiti del terremoto di Messina del 1908 e alla nascente comunità delle Carmelitane Scalze.
A Suor Maria Schininà non è toccato vedere l’affermarsi e il diffondersi della sua Congregazione .
Durante la sua esistenza terrena scarseggiavano le vocazioni e l’Istituto si dibatteva tra mille difficoltà, non solo economiche. Tra queste l’ostilità del nuovo Vescovo di Siracusa e di quello di Noto. Ma lei accettava con rassegnazione questo “insuccesso” e con grande sicurezza affermava.:
“Dio vuole umiliarmi, e finchè io vivrò, l’Istituto sarà nel bisogno, ma dopo la mia morte tutto abbonderà. Non ho novizie, ma verranno, anzi le suore formeranno delle grandi file per arrivare alla cappella per recitare le preci”
Il 30 Maggio 1910, le sue condizioni di salute già precarie si aggravarono, volle vicino a sé le suore e le orfanelle , le chiamò ad una ad una per nome e rivolse loro queste parole che possono essere considerate il suo testamento spirituale.
“Amate Gesù, carissime figlie ,amate chi soffre , amate la piccola cara istituzione, amatevi tra voi , siate tutte d’un sol cuore e di un’anima sola ” e, indicando con la mano il Cielo aggiunse. “Figlie mie dobbiamo andare in Paradiso. Tutti quelli che sono stati in questa casa, tutti quelli che vi sono e vi saranno in avvenire ,insomma tutti quelli che mettono piede in questo santo luogo, tutti devono salvarsi”
Il giorno successivo fu colpita da un’incipiente apoplessia. Alternava a momenti di lucidità, momenti di assopimento.
Alle 23,55 dell’ 11 Giugno 1910 spirò serenamente. Si può dire che tutta la città si recò a baciare la sua mano e partecipò al funerale che si svolse nel pomeriggio del 12 Giugno.
Il popolo voleva bene a “Ronna Maruzzeda”. La frase che correva sulle bocche di tutti era: “E’ morta una santa.!”
Allora la salma venne trasferita al Cimitero nella tomba di famiglia, ma, appena tre anni dopo, il 15 Giugno 1913, Maria Schininà tornò nella sua Casa Madre.
“Una traslazione che ,secondo le cronache del tempo, rinnovò i trionfi del funerale…..La gente che non aveva mai visto che i morti tornano a casa, come scrisse una suora testimone oculare, sbucava da tutte le strade ,ingrossava il corteo, riempiva i marciapiedi…”(13)
Per onorare la Fondatrice, venne costruita una cappella grande come una chiesa, dove il corpo di Suor Maria di Gesù fu deposto a lato dell’altare vicino al Tabernacolo.
Giovanni Paolo II l’ha proclamato Beata il 4 Novembre 1990.
Da allora la sua salma è conservata in un’urna di cristallo e così tutti possiamo vedere il suo volto e quel dolce sorriso con il quale è andata incontro al Suo diletto Sposo.