Nel passaggio tra il Rinascimento e il Barocco, il romanzo viene profondamente rinnovato sia nel significato che di genere. Roman, nell’antico francese (già noto nel XII secolo) è il vocabolo che designa a partire dal Medioevo il racconto di avventure, d’amore o d’eccezione, scritto in lingua volgare e in versi (tardivamente e solo un secolo dopo, anche in prosa), ed era destinato alla lettura e all’intrattenimento collettivi di un pubblico aristocratico e di corte, come i protagonisti, uomini e donne che ne animano la vicenda.
È proprio nel Seicento che in Europa si introducono come invariabili gli elementi costitutivi del romanzo moderno.
In piena stagione romanzesca nasce un nuovo filone, quello picaresco. È di una novità assoluta e antifrastico rispetto al poema cavalleresco: il protagonista, realistico e beffardo, è il pìcaro, sorta di vagabondo e irregolare e di bassa estrazione (che può essere anche una donna come ad esempio La pìcara Justina, di Francisco Lopes de Ubeda, del 1605), reso partecipe della società contemporanea attraverso avventure che il caso presenta e espande all’infinito, in una ricerca perennemente insoddisfatta.
Il vocabolo pìcaro, di etimologia incerta indicherebbe un servo di infimo grado, o un soldato di fanteria, o ancora un mendicante piccardo, risulta tradotto in molte lingue europee (in italiano corrisponde alla forma pitocco).
Il romanzo picaresco conosce grande fortuna e diffusione anche fuori della Spagna; in Italia famoso senza dubbio Francesco Fulvio Frugoni, autore dello smisurato Cane Diogene (quasi quattromilaquattrocento pagine, stampato a Venezia nel 1689), con il racconto del viaggio iniziatico e la maturazione di Saetta.
Romanzo a sé, e di rilievo europeo è il Quijote, edito in due parti nel 1605 e il 1615, di Miguel de Cervantes.
La vita di questo autore è avventurosa e irregolare praticamente come un pìcaro. Cervantes nasce ad Alcalà de Henares nel 1547; il padre fa il ‘cerusico’ (chirurgo) e il nonno, il mercante di tessuti. Ciò fa pensare la famiglia di origine ebraica, cristianizzata. L’infanzia e la giovinezza la trascorre spostandosi costantemente in territorio spagnolo fino al 1566-68, anni in cui su trova a Madrid allievo dell’umanista Juan López de Hoyo. Nel 1569 si trova a Roma al servizio del cardinale Giulio Acquaviva; nel 1570 dà inizio ad un nuovo periodo di vagabondaggio. Dopo essere entrato nell’esercito al servizio di Giovanni d’Austria, prende parte alla famosa battaglia di Lepanto, nel 1571, e a diverse spedizioni nel Mediterraneo. Risiede per qualche tempo a Napoli; nel 1575 si imbarca per la Spagna col fratello Rodrigo. La nave, però, viene catturata dai pirati turchi e condotta ad Algeri e fino al 1580 Cervantes, che per ben quattro volte tenta la fuga, non viene riscattato. Al ritorno in Spagna corrisponde una fase di monotonia e insoddisfazione esistenziale, così si dedica al teatro facendo rappresentare a Madrid una ventina di opere, andate perdute, tranne due.
Nel 1585 dà alle stampe il romanzo pastorale La primera parte de la Galatea (la prima parte della Galatea), ma senza successo. Il periodo che segue è piuttosto oscuro: a Siviglia, Cervantes è in prigione a più riprese, per ragioni di carattere finanziario. Data probabilmente alla seconda detenzione, cui si fa cenno nel Prologo dell’opera, l’idea di partenza del Quijote, la cui stesura si pone tra il 1599 e il 1603.
La prima edizione nota del romanzo appare a Madrid (1605) con il titolo di El Ingenioso Hidalgo Don Quijote de la Mancha (Il fantastico cavaliere Don Chisciotte della Mancha). Nello stesso anno conosce di nuovo l’esperienza del carcere, inseguito all’accusa di complicità in omicidio, da cui però viene scagionato in breve tempo. Si trasferisce quindi a Madrid, dove finalmente, grazie alla protezione del conte di Lemos, si dedica all’attività di letterato. Nel 1614 con sorpresa di Cervantes che aveva pubblicato quell’anno Novelle esemplari e il Viaggio di Parnaso viene edito El Segundo tomo del Ingenioso Hidalgo Don Quijote de la Mancha, mediocre continuazione redatta da Alonso Fernandez de Avellaneda, cui Cervantes replica con una sua versione e poi torna al teatro con altre otto commedie. Postuma viene pubblicata I guai di Persiles e Sigismonda, storia settentrionale.
Miguel de Cervantes muore a Madrid nel 1616.
Riporto un brano del primo capitolo che ha la funzione di prologo del romanzo:
PARTE PRIMA
CAPITOLO PRIMO
Che tratta del grado sociale e delle abitudini
del famoso cavaliere don Chisciotte della Mancia
In un paese della Mancia, di cui non voglio fare il nome, viveva or non è molto, uno di quei cavalieri che tengono la lancia nella rastrelliera, un vecchio scudo, un ossuto ronzino e il levriero da caccia. Tre quarti della sua rendita se ne andavano in un piatto più di vacca che di castrato, carne fredda per cena, uova e prosciutto il sabato, lenticchie il venerdì e qualche piccioncino di rinforzo alla domenica. A quello che restava davano fondo il tabarro di pettinato e i calzoni di velluto per i dì di festa, con soprascarpe dello stesso velluto, mentre negli altri giorni della settimana provvedeva al suo decoro con lana grezza della migliore. Aveva in casa una governante che passava i quarant’anni e una nipote che non arrivava a venti, più un garzone per lavorare i campi e fa la spesa, che gli sellava il ronzino e maneggiava il potatoio. L’età del nostro cavaliere sfiorava i cinquant’anni; era di corporatura vigorosa, secco, col viso asciutto, amante d’alzarsi presto al mattino e appassionato di caccia. Ritengono che il cognome fosse Quijada o Quesada, e in ciò discordano un poco gli autori che trattano questa vicenda; ma per congetture abbastanza verosimili si può supporre che si chiamasse Quijana. Ma questo, poco importa al nostro racconto: l’essenziale è che la narrazione non si discosti di un punto dalla verità.
Bisogna dunque sapere che detto gentiluomo, nei momenti che stava senza far nulla (che erano i più dell’anno) si dedicava a leggere i libri di cavalleria con tanta passione, con tanto gusto, che arrivò quasi a trascurare l’esercizio della caccia, nonché l’amministrazione della sua proprietà; e arrivò tanto quella sua folle mania che vendette diverse staia di terra da semina per comprare romanzi cavallereschi da leggere, in tal modo se ne portò a casa quanti più riuscì a trovarsene, e fra tutti……
A conclusione desidero trascrivere una frase di Miguel de Cervantes, che trovo illuminante:
Fate in modo che, leggendo la vostra storia, il malinconico si senta invitato a ridere, l’allegro lo diventi ancora di più, l’ignorante non se ne stufi, e chi è colto ne apprezzi la trama, il serio non la disprezzi, né il saggio manchi di lodarla.