La Visita pastorale del Vescovo, Mons. Antonio Staglianò, alla Casa don Puglisi di Modica si è svolta con semplicità e intensità, intrecciando: l’itinerario che si fa ogni volta che qualcuna visita la Casa; l’attenzione particolare ad un parola come quella del Vescovo che incoraggia e orienta; la condivisione di un momento ordinario della Casa (la merenda del pomeriggio, con i prodotti del laboratorio don Puglisi). Nel pomeriggio di lunedì 15 aprile operatori e volontari hanno accolto anzitutto il Vescovo in cappella, dove Mons. Staglianò si è soffermato su un breve scritto autografo di don Puglisi che viene conservato insieme alla tavola dell’ultima cena (proveniente da Butembo-Beni) e alle icone delle Clarisse di Paganica all’Aquila. “Uno scritto sul Padre nostro quello di don Puglisi – ha detto Mons. Staglianò – fa pensare al fatto che il Padre nostro in questa Casa non solo si recita ma lo si vive e lo si fa a nome della Chiesa di Noto e del suo Vescovo, essendo uno dei segni di carità della diocesi”. Ed ha aggiunto: “Quello che questa cappella è per la Casa, siatelo voi per la Chiesa di Noto!”. Si è quindi passati nel salone dove è stata presentata la Casa “luogo in cui – come Gesù – ci si siede a mensa con gli esclusi e si diventa Chiesa povera e per i poveri, in sintonia con il desiderio espresso da papa Francesco”. Salvo Garofalo, assistente sociale della Casa, ha quindi ricordato come “questo sedere insieme a mensa” ha consistenza quantitativa e qualitativa: dal 1990 sono 170 i nuclei accolti, per un totale di quasi 400 persone; per tutti si è stati accanto facendoli diventare «i nostri affetti». Aurelia Brafa, a nome dell’équipe educativa, ha esemplificato alcuni percorsi di accoglienza rilevando quanto sia importante il momento in cui quanti vengono accolti passano dalla diffidenza alla fiducia e come si offre a tutti quell’esperienza di Casa che diventa, per chi è vissuto spesso girovagando tra paure e violenze, sinonimo di sicurezza e di stabilità. E di riscatto per situazioni in cui la violenza grave fa danni enormi alle persone. Un riscatto che matura anche come riscoperta di Dio e di una nuova fiducia nella vita. La Casa diventa così pure proposta di solidarietà che dà pienezza alla vita e offerta di una cultura della relazione alla città, con valenze anche scientifiche nei percorsi di cura e con la possibilità di andare avanti affidata alla condivisione di molti, avendo la Casa rette dei Comuni basse proprio perché servizio innovativo e pagate talora con anni e anni di ritardo. Impegnando l’otto per mille della carità per le spese strutturali e per il potenziamento educativo, con un’amministrazione rigorosa sul modello del “buon padre di famiglia”. Il Vescovo ha sottolineato come sia importante rimanere trasparenti e vigilanti anche sugli aspetti economici per testimoniare la povertà come gratuità e condivisione ed ha osservato come, il racconto sul vissuto della Casa, fa pensare alla distinzione che c’è nella lingua inglese tra la semplice abitazione – la house – e la dimora ricca di affetti che sostengono la crescita – la home. E per capire il clima familiare della Casa è bastato spostarsi in sala da pranzo dove il Vescovo ha salutato una ad una le persone accolte e ricevuto il dono del logo della Casa, che la rappresenta come Casa tra le case , Casa da cui si generano altre Case, Casa che chiede alla città di trovare nell’affetto la propria anima. La merenda, l’applauso e la gioia dei piccoli hanno sigillato un momento bello e intenso, che si inserisce in un cammino che dura da 23 anni a vantaggio non solo delle persone accolte ma anche di quanti si coinvolgono e della crescita di una Città vera e bella.