“Lo scorso 9 marzo – spiega Dipasquale – Calogero Rizzuto, su indicazione del proprio medico di famiglia e accompagnato dalla moglie, si reca a fare il tampone poiché da una settimana accusava febbre e tosse. Da quel momento le sue condizioni peggiorano gradualmente fino al ricovero avvenuto nel tardo pomeriggio del 12 marzo. Nel frattempo del tampone nessuna notizia: contattato dalla moglie di Rizzuto, mi sono personalmente occupato di reperire informazioni in merito all’esito dell’esame senza avere mai nessuna risposta né dalla direzione dell’ASP di Siracusa, né dal Policlinico di Catania dove il tampone era stato inviato. L’11 marzo Rizzuto (già stremato) viene portato dalla moglie in ospedale. Non ci sono ambulanze disponibili e la signora è costretta a caricare il marito in auto abbassando un sedile.
Viene chiesto che venga eseguito un nuovo tampone e nessun altro esame viene effettuato per verificare la presenza di un’eventuale polmonite. Un esame RX al torace sarebbe stato sufficiente. Al 12 marzo nessun risultato per i due tamponi effettuati. Addirittura mi si dice che quei tamponi, secondo le direttive ministeriali, non erano da farsi perché dalla scheda del paziente non risultavano fattori di rischio. “Fare due tamponi in due giorni è da incompetenti. Dalla scheda del paziente si evince che non ha alcuna indicazione di rischio: tosse (?) contatti con coreani (?). Chiunque vedendo queste indicazioni li manderebbe a quel paese. Nell’emergenza attuale bisogna fare scelte di priorità”.
Questo è il tono delle rassicurazioni che mi venivano fornite. A questo punto se febbre, tosse e un incontro con una delegazione coreana non erano da considerare fattori di rischio comincio a non capire quali possano esserlo. Nel primo pomeriggio del 12 marzo, sempre più preoccupato, contatto l’assessore Razza al quale racconto tutta la paradossale vicenda. L’assessore , al di là dell’esito dei tamponi, ritiene necessario l’immediato ricovero. Alle 18 circa del 12 marzo il paziente Calogero Rizzuto viene ricoverato, sottoposto a TAC che dà esito di polmonite grave. Alle 23 dello stesso giorno la moglie mi comunica che al marito stanno somministrando l’ossigeno perché è in insufficienza respiratoria. Il 13 marzo, dopo quattro giorni, arriva l’esito di un tampone, non si sa quale dei due effettuati. Risultato: Covid-19. Ma Rizzuto è già in rianimazione”.
“Questa è la vicenda, più o meno – continua Dipasquale – e ho un’infinità di perplessità su quanto accaduto. Non sono un medico e non so cosa sarebbe potuto accadere se Rizzuto fosse stato ricoverato il 9 marzo o il giorno dopo. Non so dire se due o tre giorni avrebbero potuto fare la differenza. Qualcuno, però, dovrebbe poterlo dire alla moglie, a noi amici e a tutti i siciliani. Forse la tempestiva individuazione della patologia non solo avrebbe potuto salvargli la vita, ma avrebbe potuto ridurre ulteriori contagi a carico di quanti hanno avuto contatti con il paziente nei giorni precedenti il 9 marzo”.
“Davvero mi auguro che non capiti più nulla del genere – conclude Dipasquale – e penso che in questa tragica vicenda qualcuno deve accertare se esistono o meno delle responsabilità”.