Dal 2018 i muri a secco sono patrimonio dell’Umanità con l’Unesco che ha voluto in questo modo salvaguardare l’arte di realizzare “ripari” utilizzando solo blocchi di pietra incastrandoli fra di loro senza utilizzare malte o collanti. E così nella terra dei muri a secco, quale è quella iblea, non poteva non essere pensato e realizzato un progetto di recupero di quei merletti murari costruiti utilizzando la pietra dura, lavorata a colpi di picconi, grandi e piccoli a secondo della misura dei pezzetti o dei cocci necessari per i muri. La presentazione del progetto nel salone Falcone-Borsellino di Palazzo Spadaro nei giorni scorsi. Di esso, intitolato “Giardino di Pietra”, è capofila la cooperativa Medi Care mentre ne sono partners il Comune di Scicli, la Cooperativa Agire, l’azienda agricola Mangrovia, l’azienda Florovivaistica Bellina e la Cooperativa sociale Terramatta.
“L’iniziativa è incentrata sull’agricoltura sociale declinata a supporto e sostegno delle persone con disturbi dello spettro autistico e con disabilità – spiega Liana Galesi una delle promotrici del progetto – con ‘Giardino di pietra’ vogliamo fare rinascere l’arte iblea di erigere i muri a secco. Sono questi muri di pietra ad aver fatto anche la bellezza del territorio ibleo. Costruiti con blocchi di pietra assemblati senza l’uso di malta, sono stati nel corso dei tempi l’emblema del paesaggio agrario non solo nell’isola ma anche in altri Paesi. Con essi sono stati tracciati confini che nel tempo si sono molte vole dispersi e si è riusciti a creare una rete di bellezza ambientale naturale di indubbia particolarità”.
I muri a secco sono nati in maniera spontanea per mano dei contadini. Questi, arando i propri terreni, vedevano risalire delle pietre. Ne hanno pensato l’utilizzo realizzando dei muretti per limitare i terreni e creare terrazzamenti. Un patrimonio che rappresenta la bellezza del mondo rurale e che, oggi, è particolarmente ricercato.