La rubrica dello psicologo, a cura di Cesare Ammendola.
L’oroscopo alla Rai rivela almeno una cosa certa: nel 2023 a Ragusa sarà eletto un Sindaco.
Ma diciamola la verità. Almeno qui, tra noi. Sarà l’anti-Ciclope austroungarico, saranno le temperature australiane (in senso lato), sarà la variante afro-chiaramontana, ma un certo smarrimento interiore lo si avverte. L’ultimo e il primo dell’anno faranno tanto domenica e lunedì di Pasqua.
E comunque, io non riesco. A prescindere. A gennaio non ho affatto la percezione della fine di un anno e dell’inizio di quello nuovo. Siamo tuttora nel cuore del tempo. Nel bel mezzo di un grande ballo in maschera. Dal finale promettente, ma non ancora scritto. La percezione della fine di un anno e l’inizio di quello nuovo psicologicamente noi la collochiamo a settembre. Tendenzialmente. Inconsciamente. Sin dalla seconda infanzia. Si chiudono le vacanze (o ferie estive che siano), il clima accenna una variazione sul tema, molti di noi ritraslocano. Affrontano un nuovo anno di impegni e prospettive (a scuola, come in ufficio, per dire) e lì, in alcuni casi, inaugurano relazioni umane nuove o semi-usate.
È a settembre che danza in noi il labile senso di un brindisi al viaggio inascoltato, alla pagina non letta, alla musica non scritta. Ancora. A gennaio, da siciliano, io sono nel bel mezzo della traversata e, come sosteneva Flaubert, avverto nitidamente che cambierà soltanto una cosa nella mia vita: una beatissima milza. E in fondo questa cosina la sappiamo tutti, seppure ci crivelliamo amabilmente di auguri fosforescenti che evocano rivoluzioni rutilanti di serenità e felicità inaudite. Ve lo dico. A me basterebbe che il prossimo anno fosse simile al precedente. Nelle sue malinconiche perfezioni come nelle sue simmetrie di felicità non pirotecniche.
A tutti quelli che scrivono che il 2022 è stato un anno dignitoso, vorrei ricordare due, tre cose. Di quelle che contano. E non riesco a liberarmi dalle immagini di una generazione di anziani e di fragili rubati in questi anni in un lampo di lama. Nel soffio di un virus. O dalle immagini di una guerra non social tra haters della realtà.
Voi cosa farete a Capodanno del 2024? Non vi sembri una domanda prematura. Se il buongiorno si vede dal mattino e se siete d’accordo, io proporrei di passare direttamente al 2024. Così. In scioltezza. Quest’anno nessuno brinderebbe e nessuno farebbe i botti (secondo copione), e tutti siamo assorti in un meraviglioso trenino interiore che porta da Noi a Noi. In un orario di volta in volta diverso, che puntualmente è stabilito, non da una convenzione, ma dal sorriso e dal silenzio di ciascuno di noi, epici pendolari del tempo. La domanda finalmente non sarà la solita riguardo a Capodanno “cosa faremo?”. La domanda sarà: “chi vogliamo essere?” Se ho imparato una cosa ovvia da questa stagione, è che il tempo di ognuno di noi è prezioso. Quindi ho innanzitutto un proposito per il nuovo anno: frequenterò solo menti di gradevole aspetto.
No. Non è vero. Io non odio Capodanno. Diciamo che non lo stimo. Mi piace. Ma non ci vivrei. Ecco. Tutto qui. I bilanci e i buoni propositi mi fanno incapsulare. Peraltro, che razzo di bilancio dovrei fare a metà anno, se sono ancora con l’asma fino al collo? Mi stupiscono sempre le intenzioni di cambiamento delle masse. Mi ricordano le intenzioni di voto degli italiani all’uscita dei seggi elettorali. Quando dichiariamo l’anno di svolta non siamo credibili. Io mi tengo basso. Niente rivoluzioni latino-americane o primavere arabe o palingenesi dal nutrizionista o svolte lavorative e nuovi pilates.
Auguro semplicemente un anno di idee. Un 2023 di ironia. L’ironia ha un effetto afrodisiaco su questo Universo. Magari da un Buco Nero nasce un neurone. Tra la Via Lattea e la pista ciclabile.
Buona fine e buon inizio. A tutti i neuroni di questo giardino.