Bello il cielo stellato, in campagna, al buio, in una notte in cui non c’è la luna. Se sei in dolce compagnia, è il massimo. Dici grazie a Dio, alla natura, a tutti e non pensi ad altro.
L’astronomo tedesco Oblers avrà guardato anche lui il cielo stellato da innamorato ma di questo non abbiamo notizia, sappiamo invece del suo guardarlo da scienziato. Vide, anche lui, che alcune stelle sono molto lucenti, altre, più numerose, di medio splendore, e un numero grandissimo poco luminose. Si rese facilmente conto che questo fenomeno può essere spiegato dal fatto che le stelle che sembrano più lucenti sono più vicine, quelle di medio splendore si trovano alquanto più lontane, e quelle deboli molto molto più lontane e, in questo modo, si spiegò non solo la diversa luminosità delle stelle, ma anche perché le deboli sono più numerose di quelle di splendore medio, e perché queste ultime sono più numerose di quelle più lucenti; c’è infatti più spazio lontano che vicino. Oblers rifletté altresì su quelle stelle che si trovano ancora più lontano, così lontano che non si possono vedere isolatamente, non solo ad occhio nudo ma neppure con un telescopio e si domandò se queste non potrebbero essere talmente numerose da fornire al cielo notturno un’illuminazione di fondo uniforme. Questo avveniva attorno al 1823.
Tentò quindi di calcolare la luminosità di fondo del cielo e per fare ciò, da buon scienziato quale egli era, formulò delle ipotesi su come fossero le profondità dell’universo, tre esplicite ed una implicita. Prima. Che in fondo all’universo ci fossero stelle così come ci sono attorno alla Terra e distribuite alla stessa maniera. Seconda. Poiché la luce che noi riceviamo oggi dalle stelle lontane è stata emessa tanto tempo fa per via che la velocità della luce è molto molto alta ma pur sempre finita, suppose che la luminosità delle stelle lontanissime fosse, anche nel passato remoto, la stessa di quella che hanno ora le stelle dei nostri dintorni. Terza. Suppose inoltre che le leggi della fisica, ed in particolare quelle della propagazione della luce, del passato remoto fossero le stesse di quelle che conosciamo oggi. In altre parole presuppose, in accordo con la teoria copernicana, che quello che succede intorno a noi succeda anche altrove e sia successo anche molto molto indietro nel tempo. Ipotesi ovvie e naturali, sarebbe stato infatti sciocco, avventurarsi in un viaggio di scoperta degli abissi dell’universo cominciando con lo scartare le nozioni acquisite nelle nostre vicinanze. Infine Olbers fece un’ipotesi della massima importanza, ma la fece implicitamente senza rendersene conto: suppose che non ci fossero nell’universo movimenti grandi e sistematici, che l’universo fosse statico.
Sulla base di queste ipotesi calcolò, con un calcolo semplice e non confutato da alcun altro scienziato, la luce di fondo del cielo pervenendo al risultato che essa è pari a 50.000 volte la luce del Sole. Così stando le cose, ci dovrebbe essere sempre una luce incredibile sia di giorno che di notte e una temperatura di più di 5.000 °C. Per fortuna così non è! Come uscirne fuori allora? Lo stesso Olbers, stupito molto del risultato, ipotizzò delle possibili spiegazioni che però non ressero e tuttavia avviarono la discussione tra gli astronomi.
Se ne uscì fuori col ragionamento scientifico che consiste nel ritenere sbagliate le ipotesi e le teorie, che portano ad un risultato teorico discordante con l’osservazione. Nel caso specifico l’ipotesi da confutare fu proprio quella che Olbers fece implicitamente e cioè che l’universo sarebbe statico. Si ipotizzò quindi un universo in espansione con astri (stelle, galassie, ammassi di galassie) distanti da noi che si allontanano a grande velocità. Sotto tale ipotesi è spiegabile il buio della notte in quanto dalla fisica abituale si è appreso che la luce emessa da una sorgente che si allontana, a parità di altre condizioni, appare di intensità minore rispetto a quella emessa da una sorgente ferma. Così la luce proveniente dagli strati lontani dell’universo è immensamente indebolita dal fatto che gli oggetti luminosi in essi contenuti fuggono via da noi ad alta velocità. L’oscurità del cielo notturno, la più evidente delle osservazioni astronomiche, ci porta dunque quasi direttamente all’espansione dell’universo, il notevole e importantissimo fenomeno scoperto dall’astronomia moderna.
Perché stelle, galassie, ammassi di galassie corrono a velocità folle? Perché fuggono le une dalle altre? Dove pensano di andare? Mistero!!! Quello che a noi interessa è che grazie alla loro corsa sfrenata possiamo godere dello stupendo spettacolo del cielo stellato e ciò ci basta e avanza!
Ragusa, 5 novembre 2008
Ciccio Schembari
Pubblicato sul numero 40 / 2008 “Riveder le stelle” della rivista on line www.operaincerta.it