PIETRE MILIARI

 

Il giochino dell’isola deserta, in cui portare poche ma indispensabili cose, si può applicare alle più diverse materie: libri, dischi, film. Ognuno nella vita ha pensato, almeno una volta, a quali sono gli items irrinunciabili che porterebbe con sé, lontano dal mondo. A qualcosa di simile è dedicato 33 dischi senza i quali non si può vivere, di Ernesto Assante e Gino Castaldo, la cui scrittura appassionata propone 33 (+1) schede dedicate ai capolavori intramontabili che – secondo gli autori – riempirebbero le borse dell’immaginario naufrago (ma ormai non c’è problema: 33 albums non riempiono neanche 2 giga di un lettore digitale….).

Naturalmente, ogni scelta essendo opinabile, la lettura del libro potrà procurare anche qualche solenne arrabbiatura. Ma tant’è: gli autori si assumono la responsabilità di scelte in qualche caso coraggiose, con un criterio di fondo che premia la rilevanza culturale anche rispetto a quella propriamente musicale.

Fra le pietre miliari, non presente nel libro in questione, azzarderei il doppio live Wheels of Fire, dei mitici Cream. Il supergruppo, nato dall’incontro fra un chitarrista blues come Eric Clapton (prima della sua virata pop) e i quasi jazzisti Jack Bruce e Ginger Baker, ebbe una breve vita (66-68) e sfornò pochi dischi, ma tutti fondamentali (a parte un live semi-bootleg che uscì “postumo”). Fra di essi la nostra scelta cade su questo meraviglioso album, per metà in studio e per metà live. La parte in studio è di una eleganza formale disarmante: temi divenuti arcifamosi (Politician, Pressed Rat and the Wahrtog, Born Under a Bad Sign, quest’ultimo un vecchio blues rifatto anche da Jimy Hendrix) intorno ai quali vengono costruite scatole sonore, scrigni di sound affascinante e sensuale. Il rock e il blues fusi in una musica ad altissima temperatura emotiva. Ma è nel disco live che si trova la perla assoluta: la versione di Crossroads, del grande Robert Johnson, a un tempo velocissimo, contiene quello che probabilmente è il più bello, geniale, intenso solo di chitarra della storia del rock-blues. Per la precisione, il secondo solo di Clapton, entrato nella leggenda.

Con il film Disraeli Gears, genesi di un capolavoro, restiamo a ridosso del trio britannico e ci immergiamo nel dietro le quinte di uno dei dischi più misteriosi e affascinanti dei ’60. Da quell’album, che consegnò al cult di diverse generazioni il riff magico di Sunshine of your Love (pensate: la grande Ella Fitzgerald ne fece una sua versione…!), la storia della musica non fu più la stessa.

Il film raccoglie interviste ai tre musicisti e ai personaggi che ruotavano intorno al gruppo (fra i tanti Pete Brown,  poeta-paroliere delle composizioni di Bruce), immagini e filmati d’epoca e si chiude con una chicca sorprendente: Jack Bruce, che posa il suo fido basso elettrico e siede al piano a suonare e cantare We’re going wrong, il pezzo più struggente e drammatico dei Cream, che potrebbe fornire un’ideale soundtrack allo “spirito del ‘68”. Che goduria!

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