Con l’incontro conclusivo “Quale etica per l’imprenditoria?”, a cura del dott. Nicola Garozzo (presidente del consiglio di amministrazione di Fidimpresa Confidi di Sicilia), si è concluso un itinerario di quattro incontri (14, 15, 28 e 29 gennaio) per riflettere sul reale valore dei beni e su di un giusto utilizzo della ricchezza. Lo scopo del corso, organizzato dalla Diocesi di Ragusa (Istituto Teologico Ibleo, Ufficio per la Cultura, Ufficio Caritas) e la Pontificia Facoltà Teologica “San Bonaventura” di Roma, in sinergia con l’Università di Catania, l’Università di Bergamo e l’UCIIM Sicilia, era quello di offrire una valida proposta culturale per fronteggiare le problematiche legate alle diverse forme di povertà emergenti nel mondo in cui viviamo, alla luce degli importanti contributi forniti da docenti illustri e da professionisti esperti.
Il dott. Garozzo ha spiegato come coniugare la responsabilità sociale dell’impresa con l’etica in economia. Un percorso tra filosofia, storia dell’economia ed attualità economia, in cui l’enciclica di Papa Benedetto XVI (CARITAS IN VERITATE) ed il codice di Hammurabi vengono confrontati nel tentativo di individuare una responsabilità sociale per le imprese del XXI secolo, in pieno post-capitalismo. Ed ancora, il relatore ha cercato di individuare le corrispondenze tra la responsabilità sociale e quella etica, sfatando tutti i luoghi comuni che da molti anni compromettono il mondo imprenditoriale, come il concetto di Pil, indice al quale le maggiori economie mondiali affidano il loro successo. Eppure il Pil non è capace di rendere una reale fotografia del benessere di una società. Questi metodi hanno generato una progressiva distanza tra imprenditoria, utili e benessere sociale. “La “responsabilità sociale” – chiarisce Garozzo – non è un quadro di regole definito e concluso, ma piuttosto un processo aperto del quale va individuata la dinamica capace di farlo procedere più speditamente e superare l’intoppo che lo blocca.
La “responsabilità sociale” è un processo culturale collettivo, sia a livello di singola impresa, sia di sistema. E’ chiaro che il percorso da compiere verso una compiuta affermazione è ancora irto di insidie, e non è nemmeno di aiuto la constatazione che le aziende quotate in borsa continuino ad assistere ad una impennata dei loro corsi azionari quando annunciano tagli all’occupazione e maggiori dividendi. Alcuni individuano in questo dato di fatto la prova empirica che la “responsabilità sociale” è priva di qualsivoglia fondamento di carattere economico, quasi a sostenere che la scelta di finanziare investimenti di carattere sociale, piuttosto che distribuire degli utili, rappresenti senza via di scampo una spesa a fondo perduto e non un investimento produttivo. In verità – conclude l’intervento – nessuno ha mai avuto l’ardire di asserire che è socialmente responsabile l’impresa “integralista” che si abbandona ad un impegno sociale sconsiderato e insensato, al punto tale da mettere in pericolo la propria stessa esistenza.
L’essenza della “responsabilità sociale” risiede invece nel fatto che dall’investimento in ambito sociale si attende un contributo ad aumentare la redditività dell’attività economica”. La conclusione quindi porta a sostenere le tesi dello sviluppo sostenibile, ovvero uno sviluppo imprenditoriale etico che nel lungo termine, come dimostrato dal relatore, risulta addirittura conveniente e redditizio. (lc.)