Senza entrare nel merito e astenendoci da ogni commento, pubblichiamo un articolo uscito su Repubblica online che riprende parte della tesi di laurea di Federica Ferlante, Università di Pisa, Dipartimento Scienze Politiche, supervisione professore Alberto Vannucci.
Ecco il testo dell’articolo: “Ragusa rappresenta da sempre un’eccezione, un’anomalia, una deroga all’altra Sicilia, dal mito greco di Apollo e Diana, che si amarono tra Kasmene e Kamarina, sino alla Vigata dell’immaginario di Andrea Camilleri. Un’isola nell’isola ai margini dei confini sudorientali, che con difficoltà – ancora oggi – stenta a sottrarsi agli stereotipi, per affermare, prima di tutto a se stessa, la propria identità.
Tra il barocco incastonato negli Iblei e il litorale di dune dorate, la vita economica, culturale e sociale scorre senza troppo clamore, una provincia mite, tranquilla. Babba, per i Siciliani. Un appellativo questo che diviene certezza, mette radici nel sentire comune sino a giungere ad una conclusione: la mafia a Ragusa non esiste. E’ babba, appunto, anche da questo punto di vista.
E’ un adagio ricorrente che si ritrova tra le colonne dei quotidiani, nelle chiacchiere da bar o nelle dichiarazioni dei politici locali, un dato rassicurante su cui per decenni hanno posto le proprie fondamenta due grandi colonne: l’indifferenza e la sottovalutazione di alcuni fenomeni ed episodi criminali. Ragusa ha vissuto le vicende siciliane quasi come un’osservatrice non partecipante: Cosa Nostra, i mafiosi, i padrini e i picciotti erano altrove, erano altro.
Alla metà del Novecento, negli Iblei la presenza malavitosa legata alla mafia è rara e sporadica, gli episodi criminali che si verificano riguardano perlopiù il fenomeno del banditismo. Infatti, fino agli anni Sessanta, Cosa Nostra non ha alcun interesse ad istaurare il proprio controllo in questa provincia periferica, anzi il silenzio criminale consente a Ragusa di diventare una zona franca, una via sicura e inosservata per il traffico di armi, droga, beni archeologici e il contrabbando di sigarette.
Negli anni Settanta, l’ingresso di Cosa Nostra avviene con l’invio in soggiorno obbligato negli Iblei di numerosi boss palermitani e trapanesi di un certo calibro, i quali prepareranno il terreno per espandere e radicare i propri affari illeciti in un territorio ricco, con un’economia florida ed in espansione, con una presenza limitata di forze dell’ordine e una scarsa attenzione da parte della magistratura.
La terra è la chiave di volta. Il massiccio acquisto di terreni agricoli da parte delle famiglie di Cosa Nostra consentì la penetrazione sistematica e senza mezzi termini nell’economia ragusana della mafia. Inoltre, non può dirsi di certo un caso se mentre le terre ragusane finivano in mano ai boss di Cosa Nostra si registrò un notevole incremento dei contributi concessi ad aziende agricole del Ragusano da parte dell’Assessorato regionale all’Agricoltura.
Così, tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, nella valle dell’Ippari esplode il miracolo economico: la coltivazione in serra. Le campagne iblee – dall’entroterra al litorale – diventano l’eden dell’agricoltura attraverso lo sfruttamento intensivo della terra, dove si coltivano soprattutto melanzane, zucchine, peperoni e quello che è considerato l’oro rosso, il pomodoro ciliegino.
Se oggi si arriva in provincia di Ragusa in aereo, poco prima dell’atterraggio a Comiso, l’aereo compie una lunga virata per allinearsi alla pista sorvolando il litorale ibleo e le campagne dell’entroterra. Il paesaggio che si mostra dal finestrino è una scacchiera bianca e luccicante, un intricato reticolo di strade sterrate e trazzere disegnato dai teloni di plastica delle serre.E’ difficile individuare lingue di terra libere di respirare. Un dedalo dello sfruttamento intensivo della terra e delle mani – spesso straniere e irregolari – che quella terra coltivano, sacrificando la vita e la dignita? avvolti da una colpevole indifferenza per la ricchezza di pochi e il lavoro malpagato di molti.
Il fulcro è costituito dal mercato ortofrutticolo di Vittoria, che insieme al mercato di Fondi e di Milano, coprono l’intero comparto. La filiera dell’ortofrutta in provincia di Ragusa non si conclude con la raccolta degli ortaggi, ma continua con l’imballaggio, il trasporto, la commercializzazione e lo smaltimento dei teloni di plastica. Ogni segmento della filiera rappresenta un campo fertile per gli affari e gli interessi delle mafie, al plurale.
Altre vicende hanno attraversato gli Iblei dall’omicidio del giornalista Giovanni Spampinato, alle trivelle della Gulf Oil Company, all’affidamento dei lavori per la costruzione della Base Nato di Comiso – che negli anni Ottanta ospiterà i missili Cruise a testata nucleare – alla Stidda e alla scia di omicidi degli anni Novanta per imporre il controllo militare del territorio, in cui persero la vita anche vittime innocenti, sino ai beni oggi sequestrati e confiscati alle mafie.
Tessere che prese singolarmente dicono poco o nulla, ma se messe una accanto all’altra formano un unico mosaico, in cui appare chiaro che in questo lembo estremo della Sicilia sudorientale, sfiorato dal sole e dagli zefiri del Mediterraneo, il mito della provincia babba continua a resistere, ma rimane pur sempre un mito”.