SASSICAIA: LA CREAZIONE DI UN MITO

Non è facile scrivere su di un vino che ha segnato così fortemente l’immagine enologica dell’Italia nel mondo. Se si tiene conto poi del fatto che si tratta di un vino nato in un territorio come quello di Bolgheri, a suo tempo senza una tradizione vitivinicola, la dice lunga sull’importanza che riveste il Bolgheri Sassicaia Sassicaia.

Pensato negli anni quaranta del XX secolo, raggiunse notorietà grazie al podio conquistato nel 1978 in una degustazione alla cieca svoltasi a Londra tra i 34 Cabernet Sauvignon migliori del mondo. Un vero trionfo che ha posto non pochi interrogativi sulla validità del sistema di classificazione dei vini italiani.

Il vino in questione si era presentato alla gara di Londra, portando stampato in etichetta la dicitura di vino da tavola. Quello che nel 1978 veniva considerato il miglior Cabernet Sauvignon del mondo, in Italia era classificato, dal punto di vista legislativo, sullo stesso livello di vini semplici e beverini, in alcuni casi al limite della bevibilità. Questo evento rese improrogabile l’urgenza di dare una denominazione a quello che veniva considerato il miglior vino d’Italia. Per colmare questo vuoto si diede vita nel 1983 alla DOC Bolgheri, a cui venne aggiunta la sottozona Sassicaia, divenuta più tardi una DOC separata ed esclusiva per il vigneto Sassicaia di Tenuta San Guido.

Il primo a capire l’enorme potenzialità di questo vino fu Luigi Veronelli, che nel 1974, quattro anni prima della gara di Londra, scrisse un articolo pubblicato su Panorama sull’annata 1968 di questo vino. Da quel momento in poi il nome di Sassicaia si avvia a divenire leggenda.

Ci vollero poco più di vent’anni per creare un grande vino. Un lasso di tempo decisamente breve per una zona, al quel tempo, senza alcuna tradizione vitivinicola.

L’intuizione di Mario Incisa della Rocchetta fu di notare che parte dei terreni della sua proprietà erano caratterizzati da un notevole quantitativo di sassi, che ricordavano il terroir bordolese.

Nella tenuta di San Guido fino allora ci si era soltanto occupati di cavalli. La tenuta, infatti, era un maneggio molto noto dove si allevavano, e tutt’oggi si allevano, alcuni tra i cavalli allevati in Italia più noti della storia dell’ippica. Di vini la famiglia se ne era occupata solo nella terra di origine, in Piemonte.

Nel vigneto di Sassicaia il vino dette i risultati sperati, grazie anche alla consulenza del nipote Carlo Guerrieri Gonzaga, che aveva studiato enologia a Losanna. Il vino convinse e gli Antinori, cugini degli Incisa, decisero di occuparsi della commercializzazione di un prodotto senza DOC a un prezzo che superava di gran lunga le Riserve di Chianti Classico. Da quel momento in poi del vino si sarebbe occupato Giacomo Tachis, uomo simbolo della nuova enologia italiana. Era l’annata 1968 la prima a essere imbottigliata e di cui Veronelli notò subito le potenzialità.

Dal successo del Sassicaia altri, primi fra tutto gli Antinori, iniziarono a coltivare viti in una zona totalmente sconosciuta alla viticoltura. Nacquero così il Masseto, il Guado al Tasso, l’Ornellaia, il Ca’ Marcando e altri SuperTuscans. La zona uscì dall’anonimato e l’ingresso del Sassicaia nella DOC Bolgheri aiutò non poco questa denominazione, che è l’unica delle DOC della costa Toscana che è riuscita a farsi conoscere anche all’estero.

Il Sassicaia fu il primo vino concepito dall’azienda, ma a esso si sono uniti dopo altri due vini. Il filo conduttore che descrive la produzione di questa cantina è il termine eleganza. L’eleganza è infatti presente in tutti e tre i vini prodotti e si manifesta con una austerità a crescere, ma soprattutto con un dosaggio del legno che si può definire soltanto perfetto.

Nel Bolgheri Sassicaia Sassicaia, Cabertnet Sauvignon e Cabernet Franc, quest’ultimo al 15%, danno vita a un vino di stile bordolese, non solo nei termini di composizione delle uve, ma soprattutto nel concetto di eleganza che contraddistingue i vini di Bordeaux. Rubino scuro, ma senza essere totalmente impenetrabile. L’eleganza è percettibile anche nel movimento del vino che non risulta né esile né pesantemente compatto. Al naso è un susseguirsi di frutti di bosco freschi, sensazioni di macchia mediterranea, humus, mineralità di pietra bianca, ventaglio di spezie assolutamente non dolci e un rimando al balsamico. I 24 mesi di passaggio in barrique non si sentono assolutamente. In bocca è perfettamente equilibrato: morbidezza equilibrata da una ottima componente acida, ma soprattutto da una fattura eccellente del tannino, che lascia la bocca totalmente pulita. Persistenza lunghissima.

 

 

© Riproduzione riservata

Invia le tue segnalazioni a info@ragusaoggi.it