La tradizione vitivinicola di questi paesi è dovuta al fatto di essere stati in passato colonie francesi. La produzione di vino che in epoca remota si praticava, con l’avvento dell’islamismo, è stata progressivamente abbandonata o sostituita dall’uva da tavola. La presenza francese ha riportato in auge la produzione di vino, al punto che, durante il dopoguerra, Algeria, Marocco e Tunisia producevano due terzi della produzione mondiale di vino.
Per quanto possa sembrare strano, il vino viene prodotto anche in paesi di popolazione mussulmana. Si tratta dei paesi del Maghreb, cioè Marocco, Tunisia e Algeria.
Questa produzione, però, era destinata nella quasi totalità all’esportazione verso l’Europa, soprattutto la Francia, che faceva ampio uso del vino magrebino per rinforzare i propri. Il consumo in loco era minimo e comunque destinato agli stranieri, in particolare ai francesi.
Con l’indipendenza dei paesi magrebini e la conseguente cacciata della presenza francese, il reparto vitivinicolo subì un tracollo. I motivi non furono religiosi o almeno non solo religiosi. Con la cacciata dei francesi, questi ultimi si rivolsero ad altri paesi per ottenere vini da taglio. In particolare vennero coinvolte nel nuovo mercato la Spagna e il Meridione d’Italia.
Con l’interruzione dei rapporti franco-magrebini, nel Maghreb, oltre alla perdita del primato come esportatore di vino, si avvia il fenomeno dell’abbandono delle vigne da vino e della loro trasformazione in uva da tavola. Questo perché la gran parte delle vigne presenti erano gestite da francesi.
A ciò si aggiunse anche il fattore religioso. Non aveva senso che paesi, dove la stragrande maggioranza della popolazione non consumava vino, continuassero a produrre ingenti quantità di vino, quando ormai non possedevano più il loro principale acquirente.
All’abbandono delle vigne, seguì una politica ostile all’iniziativa privata nel settore vitivinicolo. Le poche vigne, che ancora producevano, divennero perlopiù statali, tranne pochi casi.
Con la normalizzazione dei rapporti con la Francia, con l’apertura alle imprese estere e soprattutto con il rinnovato interesse del mercato per il vino, i paesi del Maghreb stanno vivendo, chi più chi meno, un processo di ammodernamento dell’industria vitivinicola e, seppur lievemente, un aumento della produzione.
Il Marocco è il paese che è maggiormente cresciuto in questo senso. È anche il paese che sembrerebbe, sulla carta, per la sua conformazione geomorfica e per le sue caratteristiche climatiche, il più indicato a produrre vini di qualità. Anche in materia legislativa, il Marocco vanta una maggiore e più aggiornata organizzazione in materia vitivinicola, contando ben 14 AOG (Appellation d’Origine Garantie), il corrispettivo delle DOC italiane. Lo stile della produzione del Marocco è molto influenzato dalla Francia, anche in termini di capitali. I vini prodotti sono in maggioranza rossi, ma è anche abbastanza presente il cosiddetto “vin gris”, che altro non è che un rosé molto chiaro.
Sulla stessa scia di rinnovamento si muove la Tunisia, paese in cui sono approdati vari investimenti esteri. In questo caso è presente anche una azienda siciliana, Calatrasi. Il paese ha vissuto dei consistenti lavori di ammodernamento delle tecniche di cantina, ma anche il vigneto ha assorbito numerosi miglioramenti. La zona più propensa alla coltivazione della vite per ottenere vino, è la zona lungo la costa, poiché è anche quella più fresca tra le zone adatte alla viticoltura. Si ottengono, infatti, oltre ai rossi, anche vini bianchi di particolare interesse non eccessivamente alcolici. Specialità delle Tunisia è il moscato, sia dolce, sia secco. Quest’ultimo, con chiari sentori di ossidazione, è tipico di Kelibia, nota anche con il nome di Cap Bon. Verso il confine con l’Algeria, si trovano i vigneti più caldi. Dove l’uva soffre la siccità e dove non vi sono ancora adeguati sistemi di lavorazione e coltivazione atti a tutelare la qualità delle uve.
L’Algeria, rispetto al Marocco e alla Tunisia, è il paese che ha avviato minori lavori di ammodernamento. Questo fu un tempo il paese di maggiore esportazione di vino del mondo. Tra la metà degli anni Sessanta e fine anni Novanta contò il maggior crollo nella produzione di vino tra i paesi del Maghreb. Va detto che non furono motivi religiosi ad apportare questo crollo, bensì quelli analizzati prima. Soprattutto l’Algeria risentì meno del rapporto religione-vino. Semplicemente le vigne divennero troppo vecchie e lo stato non ebbe le risorse, nè la capacità di specialisti del settore per rinnovarle. Il vino algerino, nonostante le tecniche di produzione alquanto superate, non è un vino di cattiva qualità. La stoffa c’è, ma va cercata. Lo stato comunque non si dimostra contrario alla viticoltura, anzi, nelle sue limitate possibilità finanziarie, ha cercato di migliorare la situazione ed è forse quello più aperto verso la produzione di vino, ma è anche quello più chiuso ai finanziamenti esteri.
Per quanto riguarda le varietà delle uve dei vini magrebini, esse sono quasi tutte, per ovvi motivi, francesi. Anche quelle che vengono definite autoctone, altro non sono che uve francesi denominate diversamente.