Il paragone regge poco solo per le dimensioni, la teatralità e il numero delle vittime. Ma è indubbio che per la Francia e l’Europa intera si è trattato di un fatto gravissimo e un lungo momento vissuto con terrore e preoccupazione. La strage di Charlie Hebdo e della contemporanea, e inaspettata, tragedia del supermercato, frequentato da ebrei, hanno fatto emergere debolezze, impreparazione, paure e sentimenti contrastanti, rimasti magari nascosti, ma pronti ad emergere immediatamente.
Il massacro di una redazione che si esprimeva attraverso una satira forte, pungente, dissacrante, anche esagerata e blasfema, è stato un segnale preciso. Un attacco gravissimo alla libertà. Alla libertà di critica e di dissenso, senza vincoli e riserve di alcun genere. Una libertà soggetta soltanto al giudizio dei lettori. Di chi, acquistando un giornale, condivide o meno i contenuti. E alla libertà di diffondere con ogni mezzo il proprio pensiero.
Nessuno scritto, nessuna immagine, nulla, può minimamente giustificare una violenza come quella che ha portato alla morte violenta 20 esseri umani, compresi i tre terroristi. I due fratelli Said e Cherif Kouachi e un amico, Amedy Coulibaly, che condividevano lo stesso credo in nome del quale hanno condotto la folle azione. Così come è accaduto altre volte e come accade ancora fino all’ultima atrocità della bambina kamikaze in Nigeria. Una ragazzina di non più di dieci anni mandata a morire imbottita di esplosivo in un mercato, e altri venti morti e feriti. Un’operazione firmata “Boko Haram”, organizzazione terroristica per la propaganda religiosa e la Jihad operante in Nigeria del nord.
Ma allora il problema è l’Islam? Sono i milioni di musulmani diffusi in ogni parte del pianeta e dell’Europa? La risposta è assolutamente no e affermarlo sarebbe una stupida e inutile generalizzazione. La popolazione di fede musulmana è stimata in oltre un miliardo e seicento milioni e i casi di cui stiamo parlando rappresentano in proporzione un piccolissimo numero di persone. Ma di feroci assassini, capaci delle azioni più efferate, secondo un’interpretazione sbagliata e strumentale dell’Islam, religione di pace per definizione. La questione, però, esiste in tutta la sua evidenza e rappresenta una costante minaccia alla quale il mondo occidentale è esposto.
Ernesto Galli della Loggia, sul Corriere della Sera di oggi (clicca per leggere l’editoriale), pur con tutte le riserve del caso, pone una tesi, a mio avviso, condivisibile. E cioè. C’è bisogno di una forte riflessione interna all’Islam stesso. Qualcuno, di rilievo e autorevole, che faccia emergere le ragioni perché accadono queste tragedie. E che abbia la lucidità e la forza per affermarlo. Insomma, smuovere le coscienze e avviare un ‘necessario’ cambiamento culturale.
Ma è dal nostro mondo, da quella parte del mondo occidentale, laico e repubblicano che deve arrivare il messaggio più forte e chiaro per una pacifica convivenza. Che scacci via la discriminazione, l’intolleranza, il pregiudizio, la persecuzione. O, peggio, il razzismo e l’islamofobia.
E oggi questo segnale è arrivato. Fortissimo. Enorme. Pacifico. Una folla immensa ha riempito e attraversato Parigi insieme a cinquanta capi di stato, ministri, sindaci e rappresentanti di ogni religione. Una cosa mai vista e straordinaria. Bellissima, emozionante.
Due milioni di persone. Uomini, donne, bambini, giovani, di ogni colore. Migliaia di bandiere, simboli, cartelli e scritte estemporanee. A difesa della libertà, di ogni libertà, della civiltà, di quei valori inalienabili e imprescindibili patrimonio dell’umanità intera.
Oggi da Parigi è iniziato qualcosa di grande e di importante. Si, c’è ancora speranza.