SIAMO VINCOLI O SPARPAGLIATI?

La politica è ormai relegata ad argomento secondario, a Roma perché si discute di come salvare Berlusconi, a Palermo perché si devono determinare gli equilibri all’interno del Partito Democratico, a Ragusa perché ci troviamo di fronte al dilemma se per gli spettacoli conviene comprare le sedie o noleggiarle.

Questi sono i risultati della democrazia tanto osannata ma di cui nessuno osa mettere in discussione anche il più piccolo aspetto, se non altro per non attirare feroci critiche. E’ innegabile, però, che emergono profonde alterazioni della democrazia che meriterebbero ben altra attenzione.

Purtroppo viviamo in un sistema dominato dai media, secondo il quale ci vengono propinate notizie su Renzi che va in trasmissione dalla De Filippi o da Vespa o sugli arredi della nuova sede di Forza Italia ma, a stento, sappiamo perché un manipolo di deputati grillini sia riuscito a violare le pertinenze di Montecitorio arrivando ad installarsi sui tetti per protestare.

Merito, scarsamente riconosciuto, di Beppe Grillo, quello di aver portato alla ribalta problematiche che sono di tutti gli italiani ma di cui gli italiani hanno poca o nulla contezza.

Il Movimento 5 Stelle chiede a gran voce modifiche della Costituzione, alcune ritenute indifferibili anche da altre forze politiche, ma è rassegnato che con i numeri attuali si riuscirà a fare poco o nulla. Da qui le forme di protesta per attirare l’attenzione sui problemi. Anche perché pare si stia esaurendo la corrente di entusiasmo a favore dei grillini, fenomeno acclarato dal vistoso calo di consensi che si diffonde nel paese, complici i comportamenti di diversi parlamentari nazionali e di esponenti locali i quali stentano ad applicare le teorie ‘rivoluzionarie’ del leader.

Chiodo fisso di Beppe Grillo è quello di introdurre il vincolo di mandato per i parlamentari, ma non sono poche le resistenze all’interno stesso del Movimento, complice anche il fatto che Grillo, non immaginando, ingenuamente, defezioni nel pensiero dei suoi iscritti ha tralasciato, addirittura, di inserire la questione nel programma dei 5 Stelle. I vertici insistono perché “il voto è un contratto tra elettori ed eletto”, la mancanza del vincolo, si legge sul blog, è «circonvenzione di elettore» e «libertà di menzogna per il parlamentare», molti parlamentari svicolano  lamentano l’assenza di un dibattito vero e proprio.

L’articolo 67 della Costituzione Italiana, relativo al vincolo di mandato, è ispirato dal principio, riconosciuto dalla quasi totalità delle democrazie rappresentative, teso a garantire la libertà di espressione più assoluta ai membri del Parlamento italiano. I principi democratici ritengono opportuno che i parlamentari non siano vincolati da nessun mandato, né verso il partito di appartenenza all’epoca della candidatura, né verso il programma elettorale, né verso gli elettori. Esisterebbe solo un vincolo di responsabilità politica, relegato al ruolo di concetto giuridico, politico e filosofico.

Sono tali e tante le posizioni contrarie al vincolo di mandato che ogni intenzione o possibilità di modifica della norma sono da considerare desideri irrealizzabili.

Ci sarebbe solo da valutare le tesi di quanti interpretano l’appartenenza ad un partito o movimento, che si traduce nell’affiliazione al gruppo, parlamentare o consiliare, con il conseguente rispetto della relativa disciplina, come una  violazione del principio di libertà di mandato.

Ma sembra un principio che non va toccato. Per molti l’articolo 67 è una garanzia di democrazia perché permette agli eletti di dissociarsi da un partito che non difende le idee elettorali, ma nessuno parla di quando è l’eletto a tradire la volontà degli elettori. Utile sarebbe la consultazione popolare, ma si sa che in Italia saremmo pratici a trovare subito le necessarie scappatoie per aggirare la volontà del popolo.

Molti considerano fondante come vincolo quello al programma, ritengono più ragionevole una norma secondo la quale si potrebbe revocare il mandato all’eletto che tradisce il programma.

Resta comunque la considerazione che il vincolo di mandato costituisca la negazione della democrazia, caldeggiato solo da chi ne sarebbe digiuno, si difende anche il voto segreto come massima garanzia di libertà per il parlamentare, ma si allarga sempre più il fronte di quanti vogliono controllare cosa vota il proprio eletto.

Ma non sono solo queste le richieste di modifica alla Costituzione portate avanti dal Movimento 5 Stelle, ma in periferia non se ne parla, si vogliono abolire le Province o si vuole diminuire il numero dei parlamentari, oltre a varie modifiche sulla forma e sulla organizzazione istituzionale.

Ma tutto rimane come prima, a Roma, a Parma, a Palermo, a Ragusa.

Anche perché il fenomeno è in calo: Beppe Grillo venne in Sicilia, è venuto a Ragusa, sembrano fatti di tanti anni fa, infiammò i comizi col fuoco della sua eloquenza, ma si è rivelata apparizione fulminea e passeggera.

Il diffondersi della novella dei grillini è stato come accendere un barbecue, a Ragusa ci sono riusciti alla perfezione, ma, ancora, carne sul fuoco non se ne vede, ci sono solo verdure, ortaggi e qualche tozzo di pane del giorno prima.

Sarà stata la sconfitta del movimento nell’isola, ma pare che i grillini rischiano di cadere nei vizi degli altri partiti, si sono nutriti di demagogia, tralasciando i fatti, dove per fatti si intendono progetti che sazino la fame della gente. Dopo che una catapulta ha lanciato dei cittadini irreprensibili e sconosciuti nel cuore del potere, il popolo che acclama sotto il balcone tende la mano per avere qualcosa, rischia anche di dissolversi la favola degli studenti modello paracadutati sul pianeta malvagio.

A tutto si aggiunge un assoluto immobilismo del Movimento 5 Stelle, da cui gli elettori si aspettavano strategie, mentre pare che il metup sia solo impegnato a controllare l’operato dei consiglieri comunali.

Su tutto aleggia un cascame ideologico di importazione dal centro del Movimento, delegato spesso ai simpatizzanti e, comunque, mai smentito, a tratti anche inquietante, con insulti, epiteti e rifiuto di ogni critica che ricorda atteggiamenti che si rifanno, se non nella sostanza ma certo ideologicamente, ai tristi anni degli attentati e delle strategie terroristiche che azzoppavano e ammazzavano giornalisti. Si percepisce l’eco di un lessico che sembrava dimenticato, con parole come servo dei padroni, rappresentante di categoria al soldo della disinformazione, uomo venduto ai poteri forti.

Speriamo che cinque anni bastino per capire come andranno le cose.