SIMONE WEIL TRA PROFEZIA E TESTIMONIANZA

Simone Weil è una delle figure più significative nella storia europea del periodo tra le due guerre mondiali.
Epoca tragica che vede l’ascesa al potere di Mussolini, Stalin, Franco, Salazar e Hitler che è caratterizzata dalle ferite ancora aperte della prima guerra mondiale e dalla corsa inarrestabile verso un’altra guerra ancora più tremenda.
Eppure è un’epoca in cui alcune anime elette come Edith Stein, proclamata da Giovanni Paolo II patrona d’Europa, Etty Hillesum, Massimiliano Kolbe e la stessa Weil pongono le basi, con il loro pensiero e il loro sacrificio, della nuova Europa, del ripudio della guerra e di quella pace di cui godiamo ininterrottamente da settant’anni ( se si eccettua la ex Jugoslavia).
Albert Camus ha scritto che “la lucidità del pensiero e l’orrore per la mediocrità rendono Simone Weil uno spirito solitario ma di una solitudine dei precursori, carica di speranza”
La prima cosa che viene mente pensando alla Weil è l’aggettivo ebrea. Eppure proprio questa “appartenenza” alla così detta razza, alla cultura e alla religione ebraica viene da lei stessa contestata con queste parole: “Il termine ebreo designa forse una religione? Io non sono mai entrata in una sinagoga né ho mai visto una cerimonia religiosa ebraica……….Questo termine designa forse una razza? Non ho ragione alcuna di supporre che, per quel che mi riguarda ci sia un qualunque legame , sia da parte di mio padre che di mia madre col popolo che abitava la Palestina duemila anni fa…..I Romani si dettero da fare per massacrarne centodiecimila e condussero via gli altri come schiavi, fecero inoltre morire molti di quegli schiavi nei circhi.  Sicchè solo gli Ebrei che risiedevano in quel tempo fuori dalla Palestina hanno potuto lasciare una discendenza. La famiglia di mio padre, per quanto possa risalire indietro il ricordo, è vissuta in Alsazia…… La famiglia di mia madre viveva un tempo in paesi di popolazione slava, e niente mi fa supporre che sia stata composta d’altro che di Slavi…….Si può dire che ho imparato a leggere sugli scrittori francesi del XVII secolo, su Racine, su Pascal, e ne ho nutrito la mente a un’età in cui non avevo mai sentito parlare degli Ebrei; perciò se c’è una tradizione religiosa che considero mio patrimonio, questa è senz’altro la tradizione cattolica. La tradizione cristiana, francese, ellenica, questa è la mia; la tradizione ebraica mi è estranea…”
Queste  affermazioni sono contenute in una lettera scritta dalla Weil nell’ottobre del 1940. La Francia era occupata dai Tedeschi e vigevano le leggi razziali.
La confutazione di queste leggi, che non ha il fine di ottenere privilegi ma chiarezza, è fatta dalla Weil con argomenti che ci stupiscono per la loro attualità e per l’ironia del loro tono.
In ogni caso Simone Weil è un’ebrea alquanto strana: arriva a definirsi antisemita, intendendo con questo termine di essere contraria al settarismo e al fanatismo, allo spirito del ghetto di certi Ebrei. (Dirà che preferirebbe, se dovesse scegliere, la prigione al ghetto)
E’ contraria al Sionismo perchè sostiene che una patria per gli Ebrei può essere creata in qualsiasi posto del mondo ma non in Palestina, perché vede profeticamente in tempi non sospetti , è morta nel 1943, i drammi che potrebbe creare il sorgere di uno stato ebraico in Palestina. (cosa  che avverrà solo nel 1949).
Contesta l’Antico Testamento e la visione  di un Dio in nome del quale si legittimano guerre e stermini.  Afferma che “Cristo è Dio” e che “La croce, scandalo per i Giudei, come diceva S. Paolo ,è la prova più convincente , la più fulgida rivelazione della divinità del Cristo”
Simone Weil nacque a Parigi il 3 Febbraio 1909 in una famiglia benestante e animata da un grande amore per la cultura. Il padre era medico. Fin da bambina aveva una salute precaria e forse già da quest’epoca della sua vita il corpo le appare più impedimento che mezzo
A soli dieci anni era convinta che le condizioni di pace imposte dalla Francia e dalle potenze vincitrici della prima guerra mondiale alla Germania  erano ingiuste.
Nell’Ottobre del 1925 si iscrisse al Liceo Enrico IV dove il filosofo Emile Chartier, che firmava i suoi scritti con lo pseudonimo di Alain, teneva il corso di preparazione alla Scuola Normale Superiore.
A lui deve quella lucidità e quella forza di pensiero che mostrò più tardi in ambito politico. Senza di lui probabilmente avrebbe sciupato la sua dedizione a servizio di qualche partito. Ma, ancor di più di quanto abbia costruito a partire dalla dottrina di Alain, è nella volontà di essere sempre dalla parte dello schiavo che ha incontrato il suo maestro
Il carattere di Simone a quest’epoca era già nei tratti generali già formato. Chi la conosce bene la definisce socievole, amica fedele, molto caritatevole, piena di sdegno per l’ingiustizia, ma non per quella rivolta contro la sua persona, coraggiosa, paziente, dotata di una volontà incrollabile, intelligente, determinata a conoscere e fare bene; lenta nei lavori manuali che costituivano la sua più grande difficoltà ma per i quali abbandonerà l’insegnamento al fine di sperimentare di persona le condizioni della classe operaia e contadina, perché convinta che gli intellettuali in quanto tali non hanno il diritto di rappresentare il proletariato e parlare al suo posto.
Il suo aspetto nell’adolescenza era già quello di una persona che non aveva tempo e interesse per la cura del suo corpo e della sua eleganza. I suoi lineamenti non erano privi di bellezza e di grazia ma non era facile rendersene conto perché il suo volto come scrive la sua biografa, “era mangiato dai capelli e dagli spessi occhiali da miope”.
Il corpo era gracile, i gesti impacciati. Indossava abiti di taglio maschile sempre dello stesso modello, scarpe basse e negli ultimi anni una specie di mantello. Non portava mai il cappello come facevano le donne borghesi del suo tempo. Aveva certamente l’aria di un’appartenente alla sinistra rivoluzionaria, cosa che irritava molti…
All’Ecole Normal, venne definita “la vergine rossa” e molte volte nella sua vita dovette precisare di non essere mai stata iscritta al partito comunista e di considerare la dittatura del proletariato, istaurata in Russia dopo la rivoluzione del 1917, un tradimento della classe operaia, costretta a lavorare in condizioni ancora peggiori che nei paesi capitalisti.
Frequentò l’Ecole Normal dal 1928 al 1931 impegnandosi contemporaneamente in politica , facendo chiara professione di pacifismo, antinazionalismo e antimilitarismo e  partecipando a manifestazioni e scontri con la polizia.
Questo la rese poco gradita ad alcuni docenti per cui concluse gli studi con risultati modesti.
Dopo la laurea fu convocata al Ministero della P.I. per la scelta della cattedra, ma lei già pensava ad un’esperienza in fabbrica. Venne nominata in un liceo di provincia.
Le affidarono otto allieve di filosofia
Il suo metodo nell’insegnamento della Filosofia si ispirava a quello del suo maestro, Alain. Aveva bandito i manuali e faceva leggere direttamente le opere dei grandi filosofi. Consigliava alle allieve di scrivere molto, anche su argomenti scelti da loro.
Il suo impegno all’interno del sindacato degli operai e la solidarietà con i disoccupati della città provocò contro di lei l’ostilità della componente più reazionaria della comunità cittadina, venne attaccata  dalla stampa  cattolica della regione e definita  addirittura un’attiva militante bolscevica mandata da Mosca.
 Scandalizzava i benpensanti il fatto che un insegnante, donna per giunta, andasse al caffè con gli operai.
Un altro motivo di contrasto con i benpensanti era la sua posizione molto critica sul colonialismo francese.
Il suo insegnamento fu definito “molto tendenzioso” e “non rispettoso delle “opinioni delle allieve e delle loro famiglie”
Il desiderio di condividere in pieno la condizione operaia e studiare dall’interno la realtà del lavoro in fabbrica spinse Simone alla decisione di lasciare provvisoriamente l’insegnamento e farsi assumere in un’azienda produttrice di materiale elettrico
In fabbrica Simone si scontrò subito con i ritmi di lavoro, non riusciva a raggiungere la velocità richiesta perché non era portata per i lavori manuali, i suoi riflessi erano lenti e soprattutto non era abituata ad agire meccanicamente. Il suo salario, essendo pagata a cottimo, restava estremamente basso. Non guadagnava neanche per mangiare a  sufficienza e rifiutava l’aiuto dei suoi genitori.
Alla durezza del lavoro ed ai pericoli per la sua incolumità si associava talora la durezza dei compagni e soprattutto delle donne, la loro indifferenza e insensibilità nei confronti dei temi politici e sindacali.
Un brutto taglio ad una mano la costrinse a lasciare il lavoro.
Nella sua autobiografia spirituale scriverà “In fabbrica ho ricevuto per sempre il marchio della schiavitù, come quello che i Romani imprimevano con il ferro rovente sulla fronte dei loro schiavi più disprezzati. Da allora mi sono sempre considerata una schiava.”
Per Simone la guerra era il peggiore dei mali ma era convinta che quando non la si può più impedire bisogna assumere la propria parte in questa sventura col gruppo al quale si appartiene e così, quando iniziò la guerra civile in Spagna, decise di andarvi, entrò in un gruppo internazionale incaricato di missioni pericolose e le fu insegnato a maneggiare un fucile, anche se la sua miopia e il fatto di essere maldestra facevano sì che i compagni evitavano di passare nella traiettoria del suo fucile.
Probabilmente scampò alla morte perché,  a causa di una grave ustione riportata ad una gamba, fu costretta a lasciare il fronte. Fu profondamente turbata dalle crudeltà commesse dagli antifranchisti con i quali si era schierata, e maturò la convinzione che la guerra civile, anche se viene intrapresa per ristabilire la giustizia e la libertà, diventa una guerra come tutte le altre e coinvolge le nazioni. Bisogna evitare anche la guerra civile.
Nella vita della Weil  ha molta importanza l’incontro con il domenicano Padre Perrin, il quale ha pubblicato con il titolo “Attesa di Dio” le lettere scrittegli da Simone. Una lettera in particolare è preziosa perché in essa l’Autrice  racconta il suo incontro con Cristo..
“Sono per così dire nata cresciuta e sempre rimasta nell’ispirazione cristiana…..Per questo motivo non mi è mai venuto in mente di potere entrare nel Cristianesimo. Avevo l’impressione di essere nata al suo interno………..
Nel 1937 ho trascorso ad Assisi due giornate splendide. Mentre mi trovavo sola, per la prima volta nella mia vita qualcosa più forte di me mi ha obbligata a mettermi in ginocchio.
Nel 1938 ho trascorso dieci giorni nell’Abbazia Benedettina di Solesmes dalla Domenica delle Palme al martedì di Pasqua e ho seguito tutte le funzioni….durante le quali il pensiero della Passione del Cristo è penetrato in per sempre.
Ho scoperto una poesia inglese del Seicento….. intitolata “Amore”. L’ho imparata  a memoria.. Credevo di recitarla come una poesia , ma a mia insaputa quell’esercizio aveva la virtù di una preghiera. Durante una di quelle recitazioni …il Cristo stesso è disceso e mi ha presa.
Nei miei ragionamenti sull’insolubilità del problema di Dio non avevo previsto la possibilità di questo: un contatto reale, da persona a persona, quaggiù fra un essere umano e Dio…Non avevo mai letto i mistici…Dio mi aveva misericordiosamente impedito di leggere i mistici affinché mi risultasse evidente che quel contatto assolutamente inatteso non era opera mia”.
Qui siamo dinanzi all’esperienza mistica.  Sono parole  dinanzi alle quali a noi nulla è possibile aggiungere.
Nel 1941, accompagna i genitori negli Stati Uniti per salvarli dalla persecuzione antisemita, desiderando ardentemente tornare per partecipare attivamente alla resistenza francese, ma era troppo conosciuta per potere entrare nella clandestinità.
Dovette ripiegare  sulla soluzione di partire per l’Inghilterra nel Novembre del 1942.
A Londra le affidarono un lavoro tranquillo in un ufficio che si occupava delle attività per la Franci . In questo periodo scrisse moltissimo.
Da quando era iniziata la guerra si era imposta di evitare ogni situazione di privilegio e di condividere le sofferenze dei più disagiati. Mangiava pochissimo e divideva  con gli altri quello che si poteva avere con le tessere. Dormiva a terra, in un sacco a pelo, e molte notti non dormiva affatto, preferendo scrivere.
Nell’Aprile del 1943 le fu diagnosticata una forma di tubercolosi e fu ricoverata in ospedale.
Era così debole che doveva restare assolutamente immobile.
 Una persona, che ha voluto restare nell’anonimato, durante una vista in ospedale, ha preso dell’acqua, l’ha versata in testa a Simone, pronunciando la formula battesimale.
Non riuscendo più a sopportare la vita dell’ospedale, chiese alla fine di Giugno di venire ricoverata in un sanatorio, ma soltanto il 17 agosto un’ambulanza la portò nel sanatorio di Ashford . Ormai era in uno stato di magrezza e sfinimento estremi. Non riusciva a tollerare nessun cibo solido.
Il 24 Agosto nel pomeriggio entrò in coma. Si spense la sera verso le dieci e mezzo. Fu sepolta nel cimitero di Ashford alla presenza di pochi amici e di una rappresentante della Resistenza Francese.
Scrive la sua biografa: “Avevano chiesto ad un prete di venire; si sbagliò o perse il treno, e non venne”.
Al centro della spiritualità di Simone vi è la croce, non però nella sua veste lugubre di condanna, di cupa sofferenza, ma una croce illuminata da uno splendido arcobaleno(l’immagine è sua)  “La misericordia colma l’abisso …tra Dio e la creatura, è l’arcobaleno”
Queste sue parole mi hanno fatto ricordare, per un fenomeno di libera associazione, la visita di Benedetto XVI ad Awschwitz. Alla tragicità del luogo si aggiungeva il grigio di una cupa giornata invernale, senza colori…ma improvvisamente …uno splendido arcobaleno.