Attesa per gli esiti della Direzione Nazionale chiamata a decidere sulla linea da presentare al Capo dello Stato per le consultazioni. La Direzione era chiamata, principalmente, a definire la composizione della delegazione ma è stata anticipata dalla convocazione Presidenziale dei soli capigruppo. Le indiscrezioni della vigilia depongono per una discussione sui nomi di Amato, Letta e Renzi che sembrano essere nell’agenda del Capo dello Stato, ma non sono escluse sorprese dell’ultima ora.
Ha preso la parola Bersani per introdurre i lavori, ponendo sul tavolo quello che è la priorità, le consultazioni con il Capo dello Stato per cui, subito dopo il vice segretario Letta passa alla lettura del documento che affida a lui stesso e ai capigruppo il compito di rappresentare a Napolitano la disponibilità del partito per attuare un programma di governo secondo le linee esposte dal Presidente nel discorso di insediamento del suo secondo mandato.
Secondo Bersani, che ha confermato le sue dimissioni, il Pd deve fare un discorso di ragionata disponibilità per ricercare una soluzione di governo, mettendo a disposizione forze e disponibilità nel dialogo con il Capo dello Stato e le altre forze politiche. Molti dei grandi elettori sono venuti meno a decisioni formali e collettive in un momento cruciale. Siamo stati sull’ orlo di una crisi gravissima e senza precedenti.
In sostanza, alla fine, è stato approvato il documento all’ordine del giorno che prevede una totale disponibilità al Capo dello Stato per le decisioni che vorrà prendere. Non saranno indicati dei nomi, solo Ranieri ha espressamente auspicato la nomina di Renzi a premier. Per il resto, il nome del Sindaco di Firenze non è stato proposto e, lui stesso, arrivando alla riunione aveva minimizzato la questione, segno che non c’era quella intenzione di accettare, intravista nella mattinata, ma per cui, pare, erano emerse riserve nell’ambito delle scelte di Napolitano.
Per il resto una Direzione non infuocata, come enfaticamente riportato da alcuni quotidiani, nonostante la diretta streaming che ha evidenziato solo una conduzione dei lavori estremamente frettolosa, determinata dall’esigenza della delegazione che doveva recarsi da Napolitano di lasciare in tempo la riunione con l’approvazione del documento. Un passaggio solo quasi formale, che è stato comunque caratterizzato dalla passerella di alcuni esponenti che hanno voluto, comunque, esporre tesi e dichiarazioni, tutte di scarsa rilevanza, caratterizzate solo dal dico e non dico, consapevoli dell’inutilità di qualsiasi presa di posizione.
Solo gli esponenti dell’area cattolica hanno cercato di convincere della bontà del documento, obbligato per la delicata situazione venutasi a creare e considerata l’impossibilità, dovuta al sistema tripolare determinatosi, di creare una solida maggioranza. Una adesione alle larghe intese non per convinzione ma perché avviati nel vicolo cieco dalle elezioni e impossibilitati a scappare da Napolitano.
Franceschini ha auspicato che chi non condivide la scelta di aderire alle condizioni di Napolitano non vada via, sentendosi in minoranza, che si resti uniti e che si voti la fiducia per spirito di partito.
E’ seguito l’intervento di Orfini, uno dei ‘giovani turchi’, che non ha proposto il nome di Renzi, come ci si aspettava, ha appena accennato alla parola ‘paletti’ per mettere dei limiti alla disponibilità da concedere al Capo dello Stato, ma è stato assalito da un mormorio della sala che lo ha indotto a finire il suo discorso annegandolo nell’ovvietà.
Anna Finocchiaro, nel chiedere protezioni per i dirigenti per le incursioni verbali nei loro confronti, ha retoricamente ripercorso le tappe del tracollo del partito fra rifiuto del governissimo e tentativi di edulcorare la pillola per evitare di andare subito al voto, tutte strategie fallite. Si è dichiarata per l’accordo proposto dal Presidente per misure realizzabili che devono vedere impegnati, in prima linea, solo politici.
Marini ha criticato le parole di Orfini che facevano intravedere il desiderio di ennesimi tentativi per un governo con i grillini.
Forse il più incisivo e degno intervento è stato quello di Debora Serracchiani, fresca di elezione alla guida della Regione Friuli, che senza mezzi termini ha detto di poter anche condividere le scelte di Direzione, anche quelle passate, ma vuole sapere chiaramente, per poterne riferire all’elettorato, quali siano stati i motivi per dire no al governissimo, all’inizio, quali quelli per l’indicazione della candidatura di Marini, quali i motivi del no a Prodi e a Rodotà, quali i motivi per dire si a Napolitano. Con molta determinazione e chiarezza, scarsamente evidenziata dalla stampa, ha detto che si trattava di una riunione inutile non potendo porre delle condizioni a Napolitano.
Rosy Bindi ha espresso riserve sul documento che rappresenta una sorta di abdicazione del partito che rimette tutto nelle mani del Presidente: in ogni caso un governo deve essere di scopo, con una bassissima caratura politica, in quanto i componenti non devono assolutamente essere direttamente riconducibili al partito.
Dopo l’intervento di Ranieri, l’unico che ha espressamente chiesto di presentare la candidatura di Renzi per la presidenza del Consiglio, si sono succeduti Fassina che ha rappresentato l’esigenza che il nuovo governo sia attentamente rapportato al Parlamento, così da evitare il ricorso continuo alla fiducia e per facilitare la comprensione dei provvedimenti, tesa ad una approvazione quanto mai ampia, ancora dopo Gentiloni che, con chiarezza ha detto che quello che si sta facendo ora poteva essere concordato con il Capo dello Stato già subito dopo i risultati elettorali, in ultimo la Puppato che, portando ad esempio il successo in Friuli, suggeriva strategie diverse per non esautorare il mandato elettorale e non dare l’impressione all’opinione pubblica di delegare per non cambiare nulla.
Come si può vedere, ad eccezione degli interventi della Serracchiani e di Gentiloni una passerella di vuota retorica per decretare l’adesione ad un documento ritenuto obbligato ma indigeribile, approvato con 7 voti contrari e 14 astensioni, viatico per una uno stato di cose che potrà, forse, porre rimedio alla crisi di tipo istituzionale ma viene visto come la camera di rianimazione di un partito affetto da rave malattia. E come si sa, da una camera di rianimazione non si esce sempre con i propri piedi.
Fra poco, ne sapremo di più con la fine delle consultazioni e l’affidamento dell’incarico da parte del Presidente.