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Storie di Sicilia: u “Pani cunzato” il nostro orgoglio!
24 Mar 2025 08:45
Di Salvatore Battaglia
‘Pani e vinu rinforza ‘u schino‘ (Pane e vino rinforzano la schiena)
Il pane cunzato siciliano è un’istituzione della cucina sicula. Chiedete ad un qualsiasi siciliano quale sia il suo primo pensiero di fronte ad un pane appena sfornato e la sua risposta sarà proprio “farlo cunzato”! Piatto povero, è in realtà ricco di gusto per la molteplicità degli ingredienti che è possibile utilizzare per il suo ripieno. Pane cunzato significa, infatti, pane condito.
È una delle ricette più facili che si possano realizzare, ma anche una delle più appaganti. Possiamo definirlo come una versione “arcaica” del panino, protagonista delle pause pranzo di molti tra coloro che si trovano a mangiare fuori casa.
La tradizione vuole che venga farcito con abbondante olio EVO, primosale, pomodori, origano e acciughe sott’olio. Numerose sono tuttavia le varianti che si ritrovano nei territori della Sicilia. Nella città dello Stretto per il pane cunzatu alla messinese si utilizzano i pomodori secchi e le melanzane sott’olio mentre, se vi spostate sull’isola di Salina, si aggiungono ricotta infornata, cucunci, mandorle e aceto.
L’origine del pane cunzato siciliano
Come è facile dedurre, il pane cunzato costituiva il pranzo in tempi meno fortunati dei nostri, quando in casa si avevano a malapena pane ed olio. Ed è proprio così che nasce – da qui l’altra sua denominazione, “pane della disgrazia” – dall’esigenza di arricchire il pane, magari raffermo, per poterlo gustare a pranzo.
Si ricorreva alla ricetta di questo panino quando non si avevano le risorse per poter acquistare altro. Anticamente si realizzava con quel poco che si aveva in casa, come qualche pezzo di pomodoro o, nei casi più fortunati, di formaggio. Odori e condimenti economici e di facile reperibilità, insomma.
Ingrediente imprescindibile era l’origano secco, capace di regalare un profumo ed un sapore delizioso. Il pane cunzato veniva poi fatto appena scaldare per fare in modo che si ammorbidisse quel tanto che bastava, e che gli ingredienti andassero a penetrare al meglio all’interno della mollica.
La ricetta della Nonna Giovanna…
La ricetta è della nonna Giovanna quella originaria del territorio Ibleo e dà vita a un pane morbido all’interno e croccante all’esterno, che una volta tagliato per il lungo si presta a essere farcito, più o meno abbondantemente, per una pausa gustosa. Secondo il procedimento originale della nonna, il pane cunzato è farcito con pomodoro a fette, formaggio preferibilmente caciocavallo primo sale a fettine, sarde salate, olio fresco e un pizzico di origano: una ricetta che celebra le sue origini mediterranee e incanta ogni assaggiatore! La bellezza di questo street food è che è possibile abbondare con gli ingredienti a proprio piacimento, senza timore di rovinarne il sapore: il segreto sta tutto, infatti, nella bontà delle materie prime, da preferire genuine.
Una fortunata disgrazia…
Pensare a questo squisito panino come al pane della disgrazia, fa sorridere. Ma in tempi di povertà, quando alle famiglie contadine mancava ogni genere di prima necessità e i cibi più elaborati venivano visti come uno squisito miraggio a cui anelare, questa definizione era la più realistica possibile. Il pane cunzatu, infatti, è una ricetta che nasce dalla necessità di sostenersi con ciò che era disponibile o facilmente reperibile: pane, pomodori, olive, olio, formaggio e per i più fortunati, che magari si sostenevano con la pesca, qualche acciuga. In buona sostanza i cibi più saporiti e apprezzati in Sicilia.
La visita nel mio quartiere natio… e la degustazione del buon pane cunzatu
L’altro giorno a Ragusa Ibla ho fatto sosta in un angolo senza tempo nel quale amo immergermi di quando in quando, in corrispondenza del fondo d’una piccola Stradella a cul de sac che s’imbocca poco oltre la suggestiva piazzetta degli Archi.
All’angolo, un’insegna di legno ossidato dalle intemperie, con i caratteri incisi a fuoco promette “Pane cunzatu”. In fondo alla strada la cui suggestione è accresciuta dal selciato di pietre in basolato bianco, si apre l’ingresso di un forno (ammodernato con tutti i crismi, a dire il vero) dove si può degustare – con l’esborso di una cifra davvero modesta (anche nel confronto con ciò che si deve spendere per mangiare scadenti panini di plastica) – un prelibato pani cunzatu, il cui gusto – nel corso degli anni – non è mai cambiato.
I “nostalgici” dei buoni sapori del tempo che fu possono essere certi che andando a far visita a questo antico forno di quando in quando potranno sperimentare ogni volta (anche a distanza di anni) stessa fragranza, identiche sensazioni gustative ed olfattive, Ovviamente è anche l’atmosfera a creare questo risultato così peculiare.
Un angolo fuori dal tempo, dicevo.
Davanti alla rustica bottega si apre un patio delimitato da un muro basso che delimitata questo spazio interno dai giardini circostanti e dall’infinito del cielo soprastante. Tale spazio è ingentilito da una rustica panchina di pietre a vivo che gli gira tutt’attorno (la magia delle panchine, dove si può sedere a “perdere tempo”, dunque a guadagnar tempo!!!) e ombreggiato da begli alberi da frutta (un paio di piedi di fico, un fronzuto albicocco e, forse, anche un gelso, e guardando bene fra un palazzo nobiliare e un tetto di una casa in stile barocco si intravede pure il campanile della chiesa dell’Itria.
Rustici tavoli sono collocati ai piedi degli alberi.
Non c’è nessuna concessione alla modernità, se non nella plastica di tavoli e le sedie, peraltro rustici ed essenziali.
Un gruppo di miei paesani se ne sta seduto al centro della zona d’ombra più densa, chiacchierando fitto e raccontando delle storie riguardanti persone non presenti e, come è usanza, la storia viene narrata nei minimi dettagli – un bel lavoro di taglio e cucito con la ugghilora e u spagu- con un intercalare di esposizione molto concreta di fatti minuti, di giudizi e valutazioni.
È appunto una narrazione senza tempo, fatta da chi non ha fretta di bruciare il tempo che ha a disposizione. I “paesani” devono essere amici del gestore del forno: dai resti posti al centro del tavolo è evidente che hanno appena finito di fare un’abbondante colazione (accanto ad una caffettiera Moka ci sono ancora alcune brioche parzialmente smangiucchiate e dei frutti di stagione).
È in quest’atmosfera che mi viene servito il pane cunzatu: il suo sapore è arricchito da questo contorno ambientale e dalla netta percezione che, sedendomi a questo tavolo, sono entrato in una dimensione di tempo “lento”, a differenza di quanto avviene a meno di 100 metri in linea d’aria nella piazzetta di Largo San Paolo, dove oggi – come espressione della modernità incalzante – ci sono diversi bar e luoghi di ristori chiassosi (dove pure servono il pane cunzatu, che però non è la stessa cosa di quello dell’antico forno).
Ma che cos’è questo pane di cunzatu di Ibla! Una perfetta combinazione di sapori, odori, fragranza e qualità del pane sia nel crocchiare della crosta sotto i denti sia nella morbidezza compatta della mollica!
Il piacere di degustarlo si fa ancora maggiore se lo si accompagna con un buon vinello rustico rigorosamente servito in caraffa, oppure con una “vastasissima” birra ben ghiacciata… ma soprattutto per me serve a ricordare quando questo alimento lo faceva in casa la mia adorabile nonna Marianna nel suo forno a pietre…
Il Pane Cunzatu
Alla nostra tavola c’era il pane – come cucchiaio.
Il pane si divideva come il silenzio, come un sorriso,
le parole di uno sguardo.
Non mancava il vino per riscaldare – per rincuorare per desiderare.
Pane imbevuto di fame e paura e – speranza.
Pane duro ma che in un lampo – la cara nonna
lo trasformava in pane Cunzato – e come d’incanto
un sorriso sbocciava nei nostri volti – come il fiore di mandorlo a Primavera.
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