Cultura

Storie di Sicilia: u sciccareddu. Se l’hai cantata da piccolo (e hai pianto) ora è il momento del ricordo…

Di Salvatore Battaglia

“Cu di sceccu ni fa un mulu, ‘u primu cauci è lu so’ (Chi fa diventare un asino un mulo, si becca il primo calcio).

La canzone racchiude tutta la sofferenza di un contadino per il suo sciccareddu ucciso. E per capire la portata di questi sentimenti bisogna andare indietro al periodo agreste, quando l’asino detto “il cavallo del povero”, non solo era compagno di fatiche, ma anche di sostentamento per tutta la famiglia.

“U sciccareddu” è una delle canzoni popolari siciliane più famose. Come alcuni dei canti più famosi dell’isola, non ha una melodia molto allegra e, di fatto, anche il testo è un po’ malinconico. Questo, comunque, non gli ha impedito di essere apprezzatissimo e di entrare a far parte della tradizione folkloristica dell’isola. L’autore è ignoto e nel tempo vi sono stati diversi adattamenti e versioni. Lo sciccareddu, cioè l’asino, ha rivestito in passato una fondamentale importanza per la vita delle comunità. Da non dimenticare l’indotto economico che gli animali di un tempo avevano, bardature, basti, selle, davano lavoro a tante professioni.

Per capire il significato di questo canto carico di affetto nei confronti dello sciccareddu morto, bisogna pensare che, un tempo, era l’unico mezzo di trasporto, il solo in grado di attraversare territori impervi, anche con carichi pesanti. Per questo motivo, la perdita dell’animale costituiva per i nuclei familiari un significativo problema.

Esisteranno sicuramente diverse versioni di questa canzone. Sappiamo bene, quando si parla di canzoni popolari che sono state tramandate a lungo tempo anche solo oralmente, la codificazione scritta ha tenuto in considerazione le differenze esistenti da un’area geografica all’altra. Vi riportiamo, dunque, una delle tante versioni.

Tutto parte da un ritmo lento, frammisto a valzer e folk, cui segue la voce straziata del padrone che racconta dell’amico ucciso. Il suo cuore lo ricorda con malinconia, soprattutto per un particolare che entra prepotente nella melodia tanto da essere emulato, “il raglio”.

U sciccareddu Testo:


 Avia ‘nu sciccareddu – ma veru sapuritu – a mia mi l’ammazzaru, – poveru sceccu miu.

Chi bedda vuci avia, pareva un gran tenuri – sciccareddu di lu me cori – comu iu t’haiu a scurdari.

E quannu cantava facia: i-ha, i-ha, i-ha, sciccareddu di lu me cori – comu iu t’haiu a scurdari.

Quannu ‘ncuntrava un cumpagnu – subito lu ciarava, e doppu l’arraspava – cu granni cariti.

Chi bedda vuci avia, pareva un gran tenuri – sciccareddu di lu me cori –comu iu t’haiu a scurdari.

E quannu cantava facia: i-ha, i-ha, i-ha, sciccareddu di lu me cori – comu iu t’haiu a scurdari.

Portannulu a bivirari – virennu l’erba vagnata, lu mussu ‘nzuccaratu – di ‘ntera ‘celu spincia.

Chi bedda vuci avia, pareva un gran tenuri – ciccareddu di lu me cori – comu iu t’haiu a scurdari.

E quannu cantava facia: i-ha, i-ha, i-ha, sciccareddu di lu me cori comu iu t’haiu a scurdari.

Quando cantai U Sciccareddu nel pullman in America… era il 1983

Mi prendo la libertà di definire questo fantastico viaggio prima “MIO”, poi “NOSTRO”, per un semplice motivo: lo desideravo da che ho memoria e quindi l’ho vissuto come realizzazione di un sogno.

Giorgio ed Enzo, i miei compagni di viaggio, erano piuttosto perplessi sull’intensità del mio desiderio riguardo questa meta, tuttavia, con mia grande soddisfazione, hanno dovuto ricredersi. La magia di New York e altre mitiche destinazioni nel territorio americano e una bella escursione in Canada di tre giorni avevano conquistato anche loro.

Così quando finalmente si era affacciata la possibilità di fare questo viaggio ho cercato di farlo durare il più a lungo possibile, ben 16 giorni o qualcosa di più… Mi soffermerò solo alla giornata in cui decidemmo di visitare la capitale degli Stati Uniti e mi dilettai a cantare qualche canzone in dialetto siciliano.

E fu così che l’avventura ebbe inizio!

Così come New York non è solo Manhattan… visitare la East Coast non può voler dire limitarsi alla sola “città che non dorme mai”. Per questo diventava fondamentale includere nel nostro viaggio una visita alla capitale: Washington. Tutto ciò fu possibile grazie ad una nostra amica, Giovanna, che viveva a New York e che ci inserì in una gita di un giorno organizzato dal giornale Italo/Americano “Il Progresso” (è stato un quotidiano statunitense in lingua italiana pubblicato a New York dal 1880 al 1988).

Il nostro tour prevedeva un’intera giornata a spasso tra i monumenti e i palazzi più significativi di Washinton. In quella occasione abbiamo avuto la possibilità di visitare l’esterno del Campidoglio, la Casa del Congresso e la Casa Bianca fino ad arrivare al famoso cimitero di Arlington il cui ingresso era incluso nel Tour.

Le attrazioni di Washington erano numerose ed è per questo motivo che i Monumenti per i Caduti della Guerra di Corea e Vietnam e i monumenti ad Abramo Lincoln, Thomas Jefferson e Martin Luther King furono per noi un passaggio obbligato.

Ci siamo fermati anche al Museo Aerospaziale. Impossibile restare indifferenti davanti alle incredibili attrazioni in mostra nel Museo, all’interno del quale abbiamo avuto visita libera ed opportunità di fermarci un attimo a fare la pausa pranzo. Poi siamo partiti dopo cena per un arrivo in serata a New York.

Ma tutto ciò ebbe un risvolto inaspettato… Bisogna dire che quasi la totalità dei passeggeri era di origine italiana e gran parte della Sicilia… La guida era una bravissima ragazza, figlia di emigrati siciliani e precisamente di Pachino, che chiese, dopo una mezzoretta di viaggio, se ci fosse qualcuno dei passeggeri disponibile a cantare qualche canto in italiano… Capirete che, così come avrebbe detto Orazio Carpe Diem, io mi proposi a dilettare i miei connazionali ma soprattutto i miei corregionali… e, fra tutte le canzoni che proposi, una in particolare toccò il cuore di molti, era proprio il canto triste e malinconico de “U Sciccareddu”. Ad onor di cronaca devo confidarvi che quella sera, durante la cena prima di ritornare a New York , ricevetti da parte dei miei compagni di viaggio molti apprezzamenti e regali per averli anche per un attimo riportati al ricordo delle proprie origini “Italiane” .

Puisia; Partienza pa ‘Merica…

Chi scunipigli ti chi c’è ni li paisi, ntra li famigli, ntra tutti li casi: di po’ ca di l’America si ‘ntisi pi la partenza ognunu fa li basi. Cu si pripara mutanni e cammisi – cunn’avi grana si ‘mpigna li casi. Afflittu cu a famiglia s’allicenza e poi pi l’America partenza.

A quant’è tinta ddra brutta spartenza, lassari li famigli cu duluri. Priava la divina onnipotenza ca pi strata l’aiutassi lu Signuri.

A quant’è tinta ddra brutta spartenza, lassari li famigli cu duluri. Iu stessu ca lu cantu mi cumpunnu in ca di ccà v’attaccu n’antru munnu.