In fondo è meglio occuparsi di altro. Non di ciò che più interessa la società, o quanto meno la maggior parte dei soci che la compongono. Ciò sostanzialmente perché, dai sistemi per creare “utili” alla “politica”, gli argomenti più rilevanti sono appannaggio di un’unica forma dogmatica che giustappone due categorie nello stesso dogma: l’estrema socializzazione della chiacchiera a tempo perso su facebook e l’aristocratica pragmatica di chi gestisce realmente l’apparato decisionale. Così, continuando a bighellonare intorno al centro storico di Ragusa superiore (una bellissima pars civitatis, in qualche modo troppo spesso sottostimata), continuo a imbattermi in alcuni simboli che inducono alla riflessione, o perlomeno alla suggestione. Da parecchi anni ormai, in realtà, rimango spesso assorto dinanzi quella splendida rappresentazione scultorea della tripartita Sicilia, sita all’interno dell’area giardinetto del Palazzo della Prefettura, precisamente affacciantesi su Corso Vittorio Veneto: sulla sommità di una colonna, tre volti per un unico capo guardano su tre lati diversi, di cui uno appare sempre celato, rendendo infine la vaga impressione che i volti siano solo due. Tale finzione scenica, voluta o meno che sia, suggerisce al perditempo abituale l’interpretazione iconica del Giano Bifronte.
Le suggestioni non hanno tempo di cominciare che già si moltiplicano. Il lettore sicuramente saprà – perlomeno il lettore ragusano – che il monumento fu realizzato (nel 1933 circa) da Domenico Umberto Diano. Qualche anno dopo, lo stesso artista, smise infine di por mano alla Fonte di Piazza Diana in Comiso (1937). Ora, occorre rilevare alcune coincidenze, partendo da quella basilare da cui dipanare tutto il filo dei nessi, ossia che il nome latino Giano (Janus) non è altro che la resa al maschile di Jana (cioè “Diana”). Questa dualità mascolino-femminino è giustificata dal fatto che mentre Diana rappresentava la divinità del ciclo lunare (come l’equivalente Artemide, nel mondo greco), Diano presiedeva alle Porte Solstiziali dell’anno. Di fatto, molto spesso la raffigurazione di Giano si esplica in due volti, uno mascolino e l’altro dai tratti femminei. La suggestione riesce amplificata se contestualizzata nello spazio territoriale ragusano, in quanto i due Giovanni, i santi, sono celebrati proprio nei giorni successivi ai solstizi d’inverno (l’Evangelista si festeggia il 27 dicembre) e d’estate (24 Giugno, festa di San Giovanni Battista). Inutile ricordare la rilevante presenza di segnali simbolici che si riferiscono a entrambi i Giovanni, nel territorio, sotto le più svariate forme (per quel che può sfuggire riguardo l’Evangelista, ricordo la ponderosa e vetusta presenza a Ragusa dell’Ordine Ospedaliero di San Giovanni). Senza scendere troppo nei particolari, per non rischiare di dilungarmi oltre il consentito dalla decenza, vorrei soffermarmi sulle prerogative di Giano, il quale nelle due direzioni diverse guardava al passato e al futuro, così come il Battista è protagonista di un avvio di ciclo e l’Evangelista, con l’apocalisse, tende a volerlo chiudere. I Solstizi, allo stesso modo, manifestano questa simbologia del pratico (San Giovanni – entrambi in qualche modo, nel dubbio identificativo – è protettore dei lavoratori dei campi, degli operai e dei costruttori, l’universitas fabrorum, in senso ampio. Ed è superfluo rilevare l’importanza del concetto di “corporazione”, nel periodo in cui operò il Diano scultore). È probabile che questa operosità, laboriosità, di fondo, sottintesa nella tradizione che sto maldestramente cercando di ricollegare idealmente nei suoi pezzi marginali, sia da ripristinare nell’attenzione pubblica, specie nella fase abulica vissuta sino ad oggi dalla nostra società. Ma non voglio scadere nella riflessione politica, perlomeno non di senso stretto.
Diano scolpì tuttavia tre volti, e non due, mi si dirà. L’eccezione è irrilevante, in quanto, se Giano guarda al passato e al futuro, resta non manifesto il terzo volto, quello inafferrabile del presente. Schopenhauer, riprendendo tale antica concezione, scriveva: “Come in questo ogni istante sussiste, in quanto ha cancellato l’istante precedente che lo ha generato, per essere a sua volta cancellato con la stessa rapidità; come il passato e il futuro (a prescindere dagli effetti del loro contenuto) hanno la stessa inconsistenza di un sogno, mentre il presente è soltanto il confine fra quei due, privo di estensione e di durata…”
Diano si sarà fatto suggestionare, anch’egli come me, dal suo stesso nome, quando ideò la fonte dedicata a Diana e la Trifacciuta Sicilia di Ragusa? Quel volto misterioso del presente, che egli plasticamente manifesta, è forse esso stesso simbolo di una inafferrabilità triangolare del carattere siciliano? L’innumerabilità delle maschere immanenti, su tale sistema di idee, incombe sul giudizio finale. L’esigenza di ordine e di svelare il celato, forse, è espressa dal volto-terzo. La rinascita della civiltà, nel presente, è imprigionata nella paura di vederla, meschinamente adontata e coperta dalle finzioni di un futuro incerto e di un passato forse troppo comodo presso cui sembriamo adagiati.
C’era molto altro da scrivere.
Gaetano Celestre