L’annosa questione del randagismo saltuariamente viene affrontata in termini di tentativi di trovare soluzioni che non tengono conto dell’origine del randagismo stesso. I movimenti animalisti da un lato, e l’aumento della popolazione canina, frutto di stili di vita legati al benessere, dall’altro lato, hanno trasformato l’animale da compagnia in un prodotto di risulta del consumismo. Come tutti i prodotti di scarto anche i cani vengono stoccati nei depositi/canili dopo che ce ne siamo sbarazzati! L’ideologia animalista ha deformato il pensiero filosofico animalista di tutela dei diritti degli animali, quale volano di rinascita culturale e sociale, assumendo una veste estremista che spesso collide col benessere animale stesso. Bisogna tuttavia ammettere che il movimento animalista va a coprire un vuoto lasciato dalle istituzioni, per incapacità o per insensibilità; nasce cioè dall’esigenza di dare applicazione, seppure in forma estremizzata, alla necessità di evitare forme di maltrattamento animale o al bisogno di garantire tutele a quegli animali esposti all’incuria o all’insensibilità, quando non alla crudeltà dell’uomo. I cambiamenti nel sentire comune di una società, che perde frammenti di riferimenti affettivi, di conquiste sociali e di certezze esistenziali hanno aperto la strada a forme di affettività narcisistica nei confronti degli animali da compagnia, che diventano così vittime inconsapevoli dell’egoismo umano. La comprensione del fenomeno randagismo diventa quindi un punto di partenza fondamentale se si vogliono proporre politiche risolutive del fenomeno stesso. Si continua invece a proporre soluzioni non risolutive: alle campagne di sterilizzazione si aggiunge oggi il tormentone delle adozioni e del possesso responsabile. Tali proposte sono destinate non solo a non contenere il randagismo ma a peggiorarlo! Il possesso responsabile costituisce un elemento cardinale, ma il suo valore reale resta incompreso quale potente strumento di prevenzione del randagismo! C’è una discreta letteratura sul possesso responsabile che a tratti assume i toni di una speculazione filosofica, di una sorta di filosofia applicata all’etologia, che resta tuttavia sconosciuta ai politici che dettano le scelte operative, agli amministratori e funzionari che hanno il compito di darne applicazioni, agli addetti ai lavori che devono applicarle. Il tutto si traduce in un nulla di fatto; si cita il possesso responsabile ma non si sa cosa realmente significhi e come possa essere applicato.
E poi c’è l’idea deleteria di risolvere il problema del randagismo svuotando i canili e riempendo le case di cani! Idea promossa da campagne di adozione istituzionali e private, che ha l’obiettivo di trovare qualcuno “a cui affibbiare” un cane; un’idea questa che non ha nulla a che vedere col possesso responsabile. Molti neo/futuri-proprietari si trovano tra le braccia un cucciolo, spinti da compassione o sono invogliati a portarsene a casa uno grazie alle campagne di adozione promosse anche nelle trasmissioni televisive ad alto audience. (Programmi che agiscono sulla sfera emotiva e non sulla conoscenza, se non quella ingessata su informazioni stereotipate). Questi proprietari non sanno a cosa vanno incontro, se non scoprirlo personalmente quando (ormai troppo tardi), ad esempio: non riescono ad insegnare al cucciolo a non sporcare a casa, o quando si rendono conto dei costi sanitari che si devono sostenere per curare il proprio cucciolo/cane per una malattia! L’adozione così proposta è controproducente: mette a rischio i proprietari, compromette il benessere e la salute del cucciolo, favorisce il ri-abbandono, aumenta i carichi di spesa sociale per i comuni, non promuove la diffusione di una cultura cinofila anti-randagismo e pro-integrazione inter-specie. Bisogna che l’adozione non sia l’atto di un momento di debolezza emotiva bensì un processo lungo ed impegnativo. L’adozione che si realizza come singolo atto, nello spazio di un minuto, di un’ora o di un giorno non può dare vita ad un possesso responsabile, bensì dovrebbe costituire l’esito di un processo, assistito professionalmente, che coinvolga l’adottante e l’adottato in un percorso, non breve, finalizzato ad una convivenza capace di affrontare le crisi e di godere dei bei momenti. In definitiva il processo, e non l’atto, dell’adozione dovrebbe avere lo scopo di rendere difficilissimo entrare in possesso di un cane! La difficoltà consiste nel rendere visibile e comprensibile agli occhi e all’intelletto del proprietario, ciò che viene guardato senza essere visto e ciò che viene visto senza essere capito. Non basta entrare in possesso di un cucciolo per sapere come crescerlo; non è facile introdurlo in un nuovo ambiente con odori, suoni/rumori, persone, animali differenti da quelli del luogo d’origine, e indirizzarlo, sostenerlo, incoraggiarlo in quel brevissimo arco di tempo che dall’infanzia, nell’arco di sei mesi, lo introduce attraverso la pubertà all’adolescenza, quel tempo di radicali cambiamenti fisici e psichici che rendono il cucciolo un adulto. Tutte fasi di passaggio ad alta criticità che i proprietari scopriranno purtroppo tardivamente. Oggi invece è facilissimo entrare in possesso di un cane ed altrettanto facilmente ce ne possiamo sbarazzare!
dr. Gaspare Petrantoni