SULL’EVENTO ASTRO-MITOLOGICO A CAVA D’ALIGA

Al termine di una lunga tre giorni di preghiera, in coincidenza di un miracoloso evento astrale (tra l’altro ben documentato da moltitudini di foto sui social), il circolo neopagano di Cava d’Aliga si è riunito per comporre l’invocazione propiziatoria della buona estate. Se ne pubblica il testo a beneficio di tutti i fedeli della fascia costiera.

 

Iuppiter Optime Maxime, Pater Omnipotens, Rex Deorum ominumque, stator, lapis, fulgurator, tonans, faree, hospitalis, arcane, sive quo alio nomine appellari volueris! Tibi offero hoc vinum et tu sies mihi propitius pro bono aestas.

Seu tu caelestis Venus, quae primis rerum exordiis sexuum diversitatem generato Amore sociasti et aeterna subole humano genere propagato nunc circumfluo Kavalaricii sacrario coleris.

 

E dunque, poco innanzi al passaggio serale per il ritorno d’Apollo, recitiamo tali invocazioni rituali, prima di accedere al grande tempio kavalaruoto, in onore al dio Cemento innalzato sui sacri scogli. Ivi si offrano i benaugurali tripodi mai lambiti da fiamma e si accenda il divino fuoco per i sacrifici. Sulle sacre are, bagnate di birra e vino, si dispongano le offerte sacrificali. Essendo noi più o meno vegetariani, squarteremo mulinciane, sbiezzi e cipuddi. Si lascino colare a terra i liquami, in gloria alle divinità ctonie, ché soprintendano sempre le silenti serate estive. Si offrano i gambi al fuoco, che il fumo vada in onore agli dei superni dei cieli. Il resto sia equamente diviso tra i presenti, per le libagioni festose, e i calici sempre alti siano e colmi, da cui se ne tragga a bere con sobrietà quando e quanto se ne voglia. Lo Sposo della Terra, l’Ennossigeo col tridente, ci protegga con venti docili e allontani dai neri flutti – il mare ricco di pesci – Borea ad esempio e Zefiro, che sempre a impedire lieti bagni conducono liquami nefandi nella cala, provenienti da abusive fonti sconosciute. Ma ecco che l’onda si accavalla nera come il vino e rovescia fuori molta alga lungo la spiaggia. Apollo è già andato e nel cielo sono comparse le due luci tanto attese. La Cipride bacia le ginocchia a Giove, e gli prende il mento con la mano. Essa proviene in veste uranide, dal mare fecondata, così il Padre dimentica Dione e quasi pensa di approfittarne, dacché ella – Venere citerea – lo precede ora nella nascita. Non ne sarà lieta la dea dalle bianche braccia, Giunone sua moglie, e non vorremmo che abbia a rimanerci troppo male, provocando poi chissà quali sconquassi. Noi ti preghiamo, Giove, lassala stari a Venere, e accontentati di baciarle la fronte, affinché le due dive non decidano di scontarsi vestite di bronzo, e sempre il soffice peplo non dismettano. Non ricordi di quando all’aurea Venere parlavi da padre, sorridendole? “Per te non sono della guerra i fieri studi, ma l’opre d’Imeneo soavi. A queste intendi, ed il pensier dell’armi tutto a Marte lascia e a Minerva.”, in tal guisa favellavi rivolgendoti ad Ella, figlia o meno che fosse della bella Dione. E poi, non hai più l’età per certe cose, riposati, orsù stenditi sereno sull’arenile.

Proteggeteci, o numi che v’incontrate nel cielo, dagli scocciatori, dai freddi inattesi, dai lavori eccessivi, dalle penurie impreviste, dai cocktail fraudolenti e dalle punture di tracina. Concedeteci lunghe passeggiate sull’umida battigia, bevande sincere e inebrianti al punto giusto, lasciateci sudare allegramente per tempi lunghissimi, magari persino ingannandoci che l’estate possa non terminare. Fate che gli stabilimenti balneari mantengano la musica bassa, ché si possa ascoltare il piacevole mormorare di Nettuno e il via vai di Teti sulla spuma. Ma soprattutto, donateci l’ozio beato. In lode e gloria a Giove e Venere che si incontrano, questa è stata inviata.