Il Tokaji, Tokay nella grafia inglese, è senza ombra di dubbio il vino da dessert più conosciuto dell’Europa Orientale. Eppure questo vino ha vissuto nella seconda metà del Novecento una rapida decadenza qualitativa, che lo ha portato quasi all’oblio: il passaggio dalle piccole proprietà private alle cantine sociali, lo spostamento dei vigneti dalle colline alle pianure e le elevate produzioni a cui furono sottoposte le vigne, fece sì che il Tokaji diventasse un vino piuttosto banale e anonimo. Oggi, grazie anche agli investimenti dall’estero, il Tokaji è tornato a essere il vino pregiato che era in passato: un vino che gli ungheresi offrivano ai monarchi e ai più importanti canonici dell’Europa. La particolarità del Tokaji Aszù è legata al nome della famiglia Rákóczi, in particolare a Szepsy, il cappellano della famiglia, e al vigneto di proprietà Oremus. Era il 1650 e per la prima volta si produceva un vino attaccato da botrytis cinerea, detta muffa nobile, secondo un criterio e non per caso. Fino ad allora succedeva che, in determinati casi, alcuni acini venissero attaccati da botrytis cinerea e vinificati insieme ad acini sani. Ne veniva fuori un vino dai sentori molto particolari. L’idea del cappellano Szepsy fu quella di creare intenzionalmente un vino attaccato da muffa nobile.
Il Tokaji divenne così il primo vino a essere vinificato appositamente con uve appassite attaccate da muffa nobile; anticipando di oltre un secolo il Trockenbeerenauslese e il Sauternes. La lavorazione del Tokaji prevede che si parti da un vino base prodotto da grappoli di furmint, hárslevelü e sárgamuskotály, che possono concorrere congiuntamente o meno. Il furmint è un vitigno particolarmente adatto a essere attaccato dalla muffa nobile, poiché è un vitigno a maturazione tardiva e ha buccia sottile. L’hárslevelü è meno soggetta alla botrytis cinerea, ma apporta zucchero e aromi. Il sárgamuskotály altro non è che muscat blanc à petits grains ed è usato per la sua aromaticità. Al vino base verrà addizionato mosto ottenuto da sole uve botritizzate, facendo così partire una seconda fermentazione. Dopo la seconda fermentazione, il vino verrà lasciato riposare in cantina, a volte in botti scolme per favorire lo sviluppo di un’altra muffa, detta Cladosporium cellare, simile a quella dello Sherry.
Il mosto aggiunto al vino base viene misurato in puttonyos: cesti che corrispondono a circa 20 kg di uva aszù, ossia uva appassita e attaccata da botrytis cinerea. Le aggiunte di puttonyos vanno da tre a sei: maggiore è il mosto aggiunto è maggiore sarà il tenore zuccherino. In base alle puttonyos aggiunte cambierà anche il periodo di riposo del vino: un Tokaji da tre puttonyos dovrà maturare per cinque anni, mentre un Tokaji da sei avrà un periodo di maturazione di otto anni.Il Tokaji più pregiato è l’Aszù Esszencia, ottenuto da sole uve botritizzate. È un vino così concentrato e denso, che i lieviti faticano a fermentare. L’ Aszù Esszencia, come tutti i grandi vini botritizzati, non ha limiti di invecchiamento. Ma cos’è la botrytis cinerea? Essa è una muffa che si sviluppa sulla buccia dell’acino e provoca un processo di disidratazione dell’acino, concentrando così le sostanze estrattive. Apporta, inoltre, un quantitativo glicerico e un particolare corredo aromatico di grande intensità.
In Italia non vi sono zone specifiche dove poter ricondurre una particolare produzione di vini muffati. Di norma è possibile trovare vini botritizzati nelle regioni del centro-nord, ma in rari casi è possibile che la botrytis cinerea si sviluppi anche nelle regioni meridionali, grazie a straordinarie congiunture ambientali. Questo perché la botrytis, quando colpisce l’acino, se non trova un clima particolarmente umido e adatto alla sua riproduzione, si limita solamente ad avvizzire l’acino colpito senza riuscire a riprodursi. Un caso eccezionale di botrytis cinerea si verificò anche in Sicilia: lo Chardonnay di Tasca d’Almerita annata 1991. Il Tokaji vanta un altro primato: nel 1700 il principe Rákóczi classificò i vigneti del Tokaji; nel 1737 segue la zonazione dei vigneti in prima, seconda, terza classe e non classificata coltivazione. Era la prima volta che si verificava una zonazione del genere, anticipando di parecchio quello che poi sarebbe successo anche in Francia.
In Italia, Tocai era il nome di un vino del Friuli, che dal primo aprile 2007 è stato costretto a cambiare nome in Friulano. Questo perché si creava confusione con il nome del Tokaji ungherese. Anche in Francia, precisamente in Alsazia, il Pinot gris era chiamato Tokay. I francesi accettarono di cambiare il nome al loro vino entro il 2007 e si premunirono di inserire sulle etichette sia la dicitura Tokay sia Pinot gris, riducendo sempre di più, anno dopo anno, il carattere tipografico della scritta incriminata. Questo per rendere il passaggio meno traumatico al consumatore.
In Italia, invece, si pensò di fare ricorso. È fu un grande errore, poiché il tribunale diede, giustamente, ragione agli ungheresi, sostenendo la logica del legame territoriale piuttosto che la consuetudine locale. Tokaj è, infatti, il nome di una città dell’Ungheria nord orientale dove si produce il vino omonimo, tra i fiumi Tibisco e Bodrog, ai confini della Slovacchia, paese dove c’è anche una enclave di produzione del Tokaji. La rinascita del Tokaji Aszù ha riportato questo vino alle aste, dove, soprattutto l’Esszencia, raggiunge cifre da capogiro. Il Tokaji Aszù è tornato a essere re dei vini, vino dei re come lo ha definito, secondo la leggenda, Luigi XIV di Francia. (Giuseppe Manenti)