TRAIETTORIE

La categoria del post-moderno ha i contorni sfumati ma ha una sua definizione forte nella fusione di due piani, classico e moderno, alto e basso, cultura europea e culture extraeuropee, e così via.

Quando l’incontro fra i due poli avviene sul terreno delle semplificazioni, allora il risultato è spesso vicino al kitsch e vi prevale il cattivo gusto. Quando invece avviene sul terreno dell’elaborazione creativa, gli effetti possono essere devastanti.

On the Dance Floor, anomalo frutto della ECM di Manfred Eicher, frulla nel contenitore coloratissimo di un ensemble allargato i temi di Michael Jackson e i timbri e le dizioni di una big band jazzistica, sotto la regia implacabile di Enrico Rava e gli arrangiamenti eccitanti di Mauro Ottolini. Le movenze del reggae, in cui frequentemente si rapprende il tessuto mobile, frastagliato dei brani; la scansione binaria che si carica di una tensione sincopata; i solos al calor bianco di Rava, dello stesso Ottolini e degli altri della front-line; tutto accresce la naturale intensità dei brani allargando a dismisura il ventaglio di colori timbrici disponibili. Il pop accolto e riverito nel linguaggio del jazz.

Percorso più complesso, diremmo straniato, quello proposto dal grande Roland Barthes nel suo Frammenti di un discorso amoroso, esperimento seminale di linguaggio delle cose (in questo caso dell’amore) fuso al metalinguaggio che lo parla, lo rappresenta, lo incasella. La struttura del libro è quella dei lampi tematici, una sorta di prontuario dei momenti linguistici dell’amore, scovati se non braccati nel loro “alto” (Goethe, Proust) e nel loro “basso” (una psicosemiologia della vita quotidiana, dei suoi tic, delle sue defaillance). Una scrittura densa, traboccante, profonda che si nutre delle occasioni offerte da un ambito linguistico che potremmo definire pop, forzando un po’ i concetti ma non allontanandoci troppo dalle intenzioni dell’autore.

Shakespeare e la cultura del pop metropolitano, in una sinergia ad altissimo potenziale emotivo, visuale, iconico, nel magnifico exploit del Romeo+Jiuliet, di Baz Luhrman. Un film violento nella iperdefinizione delle forme più che nella prevedibilità dei suoi contenuti: una sorta di rovesciamento dei valori in gioco all’interno della tragedia classica – di cui pure ripropone gli snodi narrativi – dove la forma si tendeva fino allo spasimo nell’atto di contenere il ribollio delle vicende raccontate. Un trionfo di vitalità ma anche di sapienza registica, registro cinematografico e registro teatrale che si annodano e esplodono, nel segno del pop.