Ieri su un quotidiano locale ho letto un intervento firmato Gaetano Bonetta – Assessore ai Beni Culturali. Un bel intervento molto forbito, lungo e articolato che partendo dall’analisi svolta in un recente convegno da due illustri magistrati si cimenta in un esame sociologico e culturale del fenomeno mafioso a Vittoria. Da una lettura attenta dello stesso intervento sembra che tale fenomeno sia il frutto avvelenato di una “distrazione” di massa “della società civile ed economica” oltre che della classe politica e di tutta l’intellettualità che ha sorretto le sorti del governo della città dagli anni 60 fino ai nostri giorni che al più si è limitata ad “innocue urla moralistiche”, o usando le sue parole: “Nella pervasiva ingiustizia sociale si ebbe la germinazione di quella che divenne la vocazione mafiosa a creare un’economia informale e illegale, giuridicamente non riconosciuta, ma accettata e subita attraverso la legge “morale” della violenza”. Tralasciando la storia democratica della città che vide i propri cittadini nel primo dopoguerra passare dal bracciantato alla piccola proprietà contadina e che confidando sulla propria intelligenza e intraprendenza oltre che sul sole e la terra riuscirono a generare ricchezza per loro, per le loro famiglie e per i paesi vicini, creando sviluppo autonomo con l’invenzione della serricoltura; a Vittoria non ci sono state le “cattedrali nel deserto”.
Io ricordo altri tentativi del genere che però venivano dall’esterno, da giornalisti o intellettuali non vittoriesi, o da pezzi dello Stato che facevano derivare i problemi della presenza criminale, come in un contro canto, dal carattere focoso e irruento dei vittoriesi, ci sono stati in passato articoli dal significativo titolo – “I fiori della mafia” negli anni 90 o più recentemente “Il pomodoro della mafia” – riguardanti la gestione del mercato dei fiori o il “viaggio” del pomodoro ciliegino vittoriese piuttosto che quello di Fondi, in cui si poneva in risalto la gestione criminale della filiera agroalimentare sottolineando che a essere penalizzati sono il produttore e il consumatore.
Insomma, cose che diciamo e sopportiamo da decenni, nella più totale indifferenza dei media e delle stesse istituzioni, finalmente sembra vengano alla luce di questi tempi.
Ricordo che, ormai più di trent’anni fa, nel 1983 io segretario della Federazione Giovanile Comunista partecipai attivamente ad una grande manifestazione contro il Racket e le estorsioni che imperversavano in città e punto di riferimento nell’organizzazione di quell’evento, allora, era un umile artigiano alla guida della CNA di nome Filippo Bonetta, e ancora, la manifestazione con Tano Grasso nel 1987 in via Cavour coi negozi con le saracinesche abbassate, e per continuare io giovane Sindaco di Vittoria che mandava una lettera a tutti i Sindaci siciliani per creare il coordinamento regionale antimafia, nel tempo in cui manco la parola mafia si poteva pronunciare e nella massima pressione mafiosa, mi rivolsi anche al Presidente Nazionale della Commissione Antimafia, Gerardo Chiaromonte, e all’allora Commissario Antimafia, Domenico Sica che raccolse l’allarme e inviò a Vittoria il giudice Francesco Di Maggio che ho personalmente accolto dentro il Municipio per portare avanti il suo lavoro di indagine, ricordo la sua mole, il suo riserbo, la sua dedizione, gli feci utilizzare per diversi giorni la mia stessa stanza a Palazzo Iacono per ascoltare gli imprenditori e le persone tartassate dalla criminalità mafiosa che in quegli anni era al massimo della sua forza, decine di morti ne sono la testimonianza, era la prima volta che le istituzioni prendevano in considerazione seria le nostre denunce, fino ad allora i ministri degli interni, da Scotti a Gava, dicevano che la criminalità a Vittoria era ad un “livello fisiologico”. Il risultato di quel lavoro, lungo e difficile, fu un dossier sulla presenza mafiosa a Vittoria, organizzazioni mafiose come “cosa nostra” e “stidda” furono analizzate a partire delle famiglie palermitane e del nisseno che avevano grossi interessi nel nostro territorio e nella valle dell’Acate per finire alle famiglie mafiose vittoriesi, ma già allora la cosa che più risaltava era quello che lo stesso commissariato per la lotta alla mafia chiamò il “buco nero” dell’economia vittoriese e cioè il suo cuore pulsante, i prodotti ortofrutticoli e la loro commercializzazione. A distanza di trent’ anni abbiamo visto che anche altre organizzazioni come la “camorra” campana e la ‘ndrangheta calabrese, sono scesi a patti con la “mafia” siciliana, hanno avuto un ruolo di primo piano nella gestione illegale della nostra economia. Perciò riteniamo utile e opportuna l’azione intrapresa da parte dalla magistratura e dalle forze dell’ordine, anche le forze sociali e le organizzazioni di categoria devono fare la loro parte al riguardo, affinché si possa finalmente invertire la rotta per una economia non solo dinamica ma socialmente sostenibile. L’attività di contrasto alla mafia all’interno dei contesti produttivi deve, naturalmente, tenere conto dei tanti cambiamenti che negli ultimi anni hanno visto le organizzazioni criminali trasformarsi sempre più in soggetti economici “legittimi”. Ciò rende tutto più difficile dal punto di vista del contrasto, sia da parte delle forze dell’ordine che delle istituzioni e della società in generale. Spesso come abbiamo visto l’attività di taglieggiamento si trasforma in fornitura imposta di servizi. Tutto questo ci impone un ulteriore sforzo e un impegno di coerenza, affinché il contrasto alle infiltrazioni mal affariste possa risultare veramente efficace. Solo la libera contrattazione fra le parti costituisce una garanzia di legalità per i lavoratori, le imprese e la cittadinanza, solo la difesa dei diritti e delle regole può contrastare efficacemente l’idea di una società dei più forti contro i più deboli, dei favori contro i diritti, e, invece, favorire le libertà individuali e collettive e lo sviluppo economico e civile, ne abbiamo estremo bisogno. Eppure fino all’anno scorso abbiamo avuto notizia del ritrovamento di munizioni, tra cui proiettili speciali in grado di perforare vetri blindati, o visto omicidi come quello di Brandimarte in pieno centro che riporta ad un tempo in cui la città di Vittoria subiva l’aggressione continua da parte della criminalità mafiosa che ebbe il suo culmine nella guerra tra cosa nostra e stidda che lasciò sul terreno decine e decine di morti ammazzati per la supremazia nel controllo delle attività delittuose classiche, traffico di droga e armi, estorsioni e rapine. Poi, ad un certo punto, con l’avvento di Provenzano, che come tutti sanno mandava e riceveva pizzini anche da Vittoria, e la fine della strategia stragista, i kalashnikov hanno smesso di sparare e anche a Vittoria c’è stato un mutamento della strategia criminale che si presume sia consistita nel puntare direttamente sullo sviluppo creato dalla agricoltura avanzata e dal suo indotto specialmente nella commercializzazione, non tralasciando il settore degli imballaggi e dei trasporti.
A tal proposito mi sovviene l’operazione delle forze dell’ordine diretta dalla Magistratura di qualche anno fa che ha visto l’arresto di circa 70 persone tra Campania e Sicilia, tre dei quali arrestati a Vittoria, che ha segnato una ulteriore tappa per ciò che riguarda la capacità di reazione delle istituzioni democratiche contro la criminalità organizzata, per ciò e a maggior ragione abbiamo dato atto e abbiamo ringraziato pubblicamente i tutori dell’ordine pubblico per l’enorme sforzo fatto al fine di garantire la tutela del territorio con la decapitazione di vere e proprie organizzazioni criminali dedite allo spaccio in grande stile e alla gestione del malaffare.
Già nel processo “Grande Oriente” e nell’operazione “Crash” era venuto alla luce quanto fosse alto l’interesse di “cosa nostra” nei confronti del nostro territorio, le stesse indagini miranti alla cattura di Bernardo Provenzano hanno rivelato che il capo mafia avrebbe trascorso un periodo in un covo tra Niscemi e Vittoria, nella zona del ragusano dove il suo fidato postino e curatore della sua latitanza Simone Castello aveva grossi interessi nel settore delle serre e in tutta l’isola una serie di attività di import – export che poi, secondo l’accusa, si rivelarono i canali di riciclaggio del denaro di “cosa nostra”.
Sarebbe bene che su questi temi si avviasse un dibattito serrato, valutando le distorsioni del libero mercato causate da una concorrenza sleale di tal fatta e soprattutto si facesse luce sulle collusioni e connivenze che hanno reso possibile tutto ciò. Altro che democrazia economica, c’è stato negli anni un vero e proprio soggiacere a interessi e a investimenti fatti al fine di riciclare denaro sporco in attività lecite che hanno contribuito senza dubbio a creare la crisi odierna della nostra agricoltura colpendo in maniera indiscriminata gli anelli deboli della catena: i produttori e i consumatori.
La città di Vittoria ancora una volta deve dimostrare la propria capacità di reazione di fronte alla morsa della criminalità organizzata (mafia e stidda, camorra e ‘ndrangheta).
La stragrande maggioranza dei vittoriesi non ha voluto e non vuole subire ricatti e pressioni, non ha voluto e non vuole vivere in una città insicura e piegata su se stessa alla ribalta della cronaca nazionale per fatti deleteri. Lo Stato ha fatto e sta facendo la sua parte sul versante della repressione, ora occorre non abbassare la guardia perché purtroppo continuano le scorribande della malavita organizzata vittoriese nelle strutture economiche legate all’agricoltura e al suo indotto, registriamo ancora atti intimidatori, incendi dolosi, che danno la misura di un tentativo di riorganizzazione della stessa.
All’alleanza perversa delle forze criminali dobbiamo continuare a contrapporre una alleanza virtuosa delle forze sane, un nuovo patto di cittadinanza che isoli il malaffare e faccia emergere la città sana, le sue istituzioni economiche, sociali e culturali. Un nuovo patto che mette nero su bianco le linee guida che ognuno deve seguire nello svolgimento del proprio lavoro sia esso dipendente che autonomo. Problemi vecchi e nuovi che riguardano la formazione del prezzo del prodotto agricolo, dell’accesso al mercato ortofrutticolo e della gestione dei servizi, della trasparenza nelle transazioni commerciali e così via devono trovare una soluzione definitiva.
Questo chiede la Città e per questo c’è bisogno di una assunzione di responsabilità individuale e collettiva che ridia fiducia e speranza in un futuro migliore, noi, come sempre, faremo la nostra parte. Rimaniamo convinti che non ci sarà mai uno sviluppo economico degno di questo nome senza legalità. Ora la crisi drammatica legata appunto all’economia agricola può far tornare un’ epoca che io ricordo come la traversata degli inferi per tutti noi vittoriesi.
Perciò sono ancora di più convinto che la strada maestra, per la verità, da tempo imboccata dagli organi competenti, forze dell’ordine e magistratura, che hanno dato colpi micidiali ai clan disarticolandoli, anche se, a distanza di qualche decennio, molti ex criminali sono di nuovo a piede libero, sia quella senza scorciatoie della lotta frontale contro la mafia e la criminalità organizzata da percorrere senza tentennamenti e ambiguità di sorta, ma accanto a questo occorre che vada avanti la cultura della legalità con ogni mezzo e soprattutto ogni cittadino, ogni libero imprenditore oltre a fare il proprio dovere, deve avere convenienze non tanto o non solo fiscali, ma anche garanzie certe dallo Stato sulla propria sicurezza, della sua famiglia, della sua impresa, con un minimo di riservatezza perché non tutti sono disposti a fare gli eroi.
In questo quadro il ruolo della pubblica amministrazione complessivamente considerata, dovrebbe sempre essere di garanzia, rispetto ed esempio per i cittadini, voglio dire che diventa più difficile acquistare autorevolezza e credibilità nella battaglia contro il malaffare se si assumono atteggiamenti che possono essere letti come superficiali o denotanti arroganza e autoreferenzialità. Sono convinto che anche il “potere” mediatico deve cercare di essere utile alla verità e alla democrazia. Non si esorcizza il male voltando la testa dall’altra parte e tutti abbiamo il dovere di mantenere alta la tensione morale sia come cittadini che come istituzioni per fare terreno bruciato ai fenomeni criminali e mafiosi, perché solo coniugando legalità e sviluppo ci potrà essere un futuro diverso e migliore per Vittoria, la provincia di Ragusa e la Sicilia, ma questo non può consentire a nessuno di sparare nel mucchio e di fare di tutta l’erba un fascio. Non ritengo utile a nessuno né tanto meno alle giovani generazioni una lettura della realtà parziale come può essere quella di chi ha scelto di vivere fuori e poi magari forte della distanza emotiva e psicologica con gli accadimenti storici ha potuto trarre errate conclusioni.